Seconda parte del mio reportage fotografico dalle location dove Alex Infascelli ha girato "S is for Stanley", documentario sulla vita di Emilio D'Alessandro tratto da "Stanley Kubrick e me".
Queste foto raccontano la nostra trasferta inglese, per girare al circuito automobilistico di Brands Hatch dove Emilio ha gareggiato negli anni '60, ai Pinewood Studios, a bordo di una Mercedes 280SEL e nel sottopassaggio pedonale di Trinity Road a sud della città.
Emilio guarda il circuito sotto la lente del direttore della fotografia Edoardo Carlo Bolli.
Janette si ripara dal vento freddo che spazza Brands Hatch.
Emilio e Alex a bordo pista.
Edoardo e Alex controllano un ciak.
Via da Brands Hatch verso Pinewood.
Di fronte allo Stanley Kubrick Building, un edificio dei Pinewood Studios dedicato alla memoria di Kubrick.
Alex e Emilio davanti lo Stanley Kubrick Building (con riflesso del vostro affezionatissimo).
Il fonico di presa diretta Alessandro Boscolo: "Con Sandrone tutte buone!"
Wish you were here...
Emilio al volante della Gold Mercedes parla con Edoardo per preparare una ripresa.
Alex li osserva dal sedile posteriore.
La Gold Mercedes di fronte alla casa di Farm Road, dove Emilio e Janette hanno vissuto per vent'anni.
Se Kubrick utilizzava le sedie a rotelle come dolly, noi possiamo certo usare un carrello della spesa.
Emilio e Alex si allontanano, nel sottopassaggio che aveva visto i drughi picchiare il barbone in Arancia Meccanica.
12 ottobre 2015
06 ottobre 2015
S is for Stanley: le riprese a Cassino
"S is for Stanley" è il film che Alex Infascelli ha tratto da "Stanley Kubrick e me", la storia di Emilio D'Alessandro e Stanley Kubrick. Il film debutterà sabato 17 ottobre alla Festa del Cinema di Roma.
Le riprese sono state fatte a Cassino, nella casa di Emilio e Janette, e in trasferta a Londra e dintorni. Queste sono alcune delle foto che ho scattato durante i giorni a Cassino.
Alex, Emilio nel monitor e il fonico Francesco Geraci nel garage di Cassino, sancta sanctorum della nostra storia.
Nonostante avessimo il ciak di Eyes Wide Shut a disposizione, lo abbiamo usato solo per il ciak inaugurale e ne abbiamo subito costruito uno artigianale, ben più consono al nostro livello.
Alex dirige Emilio, mentre Gigi Martinucci si occupa della fotografia.
Magic hour nel giardino di casa.
All'imbrunire, nel campo dietro casa, Emilio si prepara alle riprese con la giacca di Full Metal Jacket. Ed è subito Beckton.
Pausa con gatto, inevitabilmente.
Janette e Alex preparano la scena nel salotto di casa.
Clio Crescente scatta le foto di scena.
I piedi di Alex, quelli di Janette, e un tappeto che non ha bisogno di presentazioni.
Le riprese sono state fatte a Cassino, nella casa di Emilio e Janette, e in trasferta a Londra e dintorni. Queste sono alcune delle foto che ho scattato durante i giorni a Cassino.
Alex, Emilio nel monitor e il fonico Francesco Geraci nel garage di Cassino, sancta sanctorum della nostra storia.
Nonostante avessimo il ciak di Eyes Wide Shut a disposizione, lo abbiamo usato solo per il ciak inaugurale e ne abbiamo subito costruito uno artigianale, ben più consono al nostro livello.
Alex dirige Emilio, mentre Gigi Martinucci si occupa della fotografia.
Magic hour nel giardino di casa.
All'imbrunire, nel campo dietro casa, Emilio si prepara alle riprese con la giacca di Full Metal Jacket. Ed è subito Beckton.
Pausa con gatto, inevitabilmente.
Janette e Alex preparano la scena nel salotto di casa.
Clio Crescente scatta le foto di scena.
I piedi di Alex, quelli di Janette, e un tappeto che non ha bisogno di presentazioni.
30 settembre 2015
S is for Stanley al #RomaFF10!
Tempo di begli annunci: il docu-film che Alex Infascelli ha girato da Stanley Kubrick e me è stato selezionato per la decima edizione della Festa del Cinema di Roma! S is for Stanley debutterà sabato 17 ottobre al Museo MAXXI di Via Guido Reni 4/a e sarà proiettato in replica sabato 24 alle ore 20:30 al Cinema Aquila di Via Aquila 66.
S is for Stanley racconta naturalmente l'incredibile storia di Emilio D'Alessandro e Stanley Kubrick, tra i set di Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut.
Il film è stato girato a Cassino, Londra, St. Albans, agli studi di Pinewood, sul circuito di Brands Hatch e a bordo di una Mercedes 280SL, una delle automobili di Stanley Kubrick dietro al cui volante Emilio ha trascorso svariati anni.
Scritto da Infascelli con me e Vincenzo Scuccimarra, con le musiche di John Cummings dei Mogway, S is for Stanley è prodotto da Kinethica e da Lock & Valentine.
Ci vediamo a Roma!
10 settembre 2015
Incontri su Kubrick a Milano
Cari,
vi segnalo che giovedì 15 ottobre io ed Emilio D'Alessandro saremo ospiti dello Spazio36, un laboratorio di produzioni audiovisive a Milano, per un incontro sul cinema di Stanley Kubrick. Dalle ore 20:30, presso la sede di Viale Umbria 36, io ed Emilio racconteremo la sua straordinaria storia attorno i set di Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut.
L'incontro è gratuito ma con disponibilità di posti limitata: è quindi necessaria la prenotazione scrivendo a info@spazio36.com oppure telefonando allo 02.36561472.
Sempre presso lo Spazio36, nei due giorni seguenti, venerdì 16 dalle 18:30 alle 21:30 e sabato 17 dalle 10:00 alle 18.00, io terrò il corso "Kubrick su Kubrick," dieci ore di lezione per studiare il peculiare modo di fare cinema di Stanley Kubrick: dalla scelta della storia all’adattamento, dalla direzione degli attori alla fotografia, dal montaggio alla promozione presso il pubblico.
Il corso, che si avvale di materiali inediti e raramente visti in Italia, ha un costo di 280€, inclusivi di coffee break e attestato di partecipazione. Trovate il programma completo a questo link e le informazioni per l'iscrizione sulla pagina Academy dello Spazio36.
Grazie dell'attenzione e ci vediamo a Milano. Spargete la voce!
AGGIORNAMENTO 30.09.2015: A causa della proiezione di S is for Stanley all'interno della Festa del Cinema di Roma il 17 ottobre, il corso "Kubrick su Kubrick" è rimandato a data da destinarsi. L'incontro con il pubblico di giovedì 15 è invece confermato. Grazie.
vi segnalo che giovedì 15 ottobre io ed Emilio D'Alessandro saremo ospiti dello Spazio36, un laboratorio di produzioni audiovisive a Milano, per un incontro sul cinema di Stanley Kubrick. Dalle ore 20:30, presso la sede di Viale Umbria 36, io ed Emilio racconteremo la sua straordinaria storia attorno i set di Barry Lyndon, Shining, Full Metal Jacket e Eyes Wide Shut.
L'incontro è gratuito ma con disponibilità di posti limitata: è quindi necessaria la prenotazione scrivendo a info@spazio36.com oppure telefonando allo 02.36561472.
Sempre presso lo Spazio36, nei due giorni seguenti, venerdì 16 dalle 18:30 alle 21:30 e sabato 17 dalle 10:00 alle 18.00, io terrò il corso "Kubrick su Kubrick," dieci ore di lezione per studiare il peculiare modo di fare cinema di Stanley Kubrick: dalla scelta della storia all’adattamento, dalla direzione degli attori alla fotografia, dal montaggio alla promozione presso il pubblico.
Il corso, che si avvale di materiali inediti e raramente visti in Italia, ha un costo di 280€, inclusivi di coffee break e attestato di partecipazione. Trovate il programma completo a questo link e le informazioni per l'iscrizione sulla pagina Academy dello Spazio36.
Grazie dell'attenzione e ci vediamo a Milano. Spargete la voce!
AGGIORNAMENTO 30.09.2015: A causa della proiezione di S is for Stanley all'interno della Festa del Cinema di Roma il 17 ottobre, il corso "Kubrick su Kubrick" è rimandato a data da destinarsi. L'incontro con il pubblico di giovedì 15 è invece confermato. Grazie.
19 agosto 2015
Brian Aldiss su Web of Stories
Il sito internet Web of Stories, progetto che raccoglie le testimonianze di vita di persone di interesse, ha appena pubblicato la consueta lunga intervista al nuovo ospite: lo scrittore inglese di fantascienza Brian Aldiss.
Aldiss è l'autore di Supertoys Last All Summer Long, la novella da cui è tratto il film A.I. Intelligenza Artificiale. In questi quattro video, Aldiss ricorda la collaborazione con Kubrick, a fasi alterne, dal 1976 al 1990.
Con la consueta cura, il sito propone anche una trascrizione integrale dell'intervista. Vi ricordo che Stanley Kubrick è già stato oggetto di varie conversazioni, da Marvin Minsky a Jeremy Bernstein, da Ken Adam a Frederic Raphael. Li trovate tutti a questo link.
Aldiss è l'autore di Supertoys Last All Summer Long, la novella da cui è tratto il film A.I. Intelligenza Artificiale. In questi quattro video, Aldiss ricorda la collaborazione con Kubrick, a fasi alterne, dal 1976 al 1990.
Con la consueta cura, il sito propone anche una trascrizione integrale dell'intervista. Vi ricordo che Stanley Kubrick è già stato oggetto di varie conversazioni, da Marvin Minsky a Jeremy Bernstein, da Ken Adam a Frederic Raphael. Li trovate tutti a questo link.
13 agosto 2015
Stanley Kubrick: New Perspectives
E' uscito qualche mese fa per la casa editrice londinese Black Dog Publishing il libro Stanley Kubrick: New Perspectives, una collezione di saggi sulla realizzazione dei film di Kubrick scritti da vari ricercatori universitari. L'elemento che accomuna i saggi è l'utilizzo dei documenti di produzione custoditi allo Stanley Kubrick Archive (da qui in avanti: SKA) presso l'Università delle Arti di Londra. Le "nuove prospettive" del titolo sono quindi quelle che è possibile raggiungere grazie allo studio dei copioni, dei piani di riprese, del carteggio con i collaboratori, delle foto di scena e così via.
Ne segue che questo libro rappresenta il primo autorevole tentativo di rinnovare lo studio dei film di Kubrick, dopo i primi discutibili esiti dello Stanley Kubrick Archives della Taschen, interessato più a suscitare ammirazione che riflessione, e del catalogo della mostra di Francoforte che, pur migliore, soffriva di una certa discontinuità e minor incisività, a causa probabilmente di una prospettiva meno distanziata.
Anche questo libro, come è inevitabile per ogni raccolta da più autori, ha il difetto di presentare saggi la cui qualità risulta discontinua, ma il livello medio è sicuramente alto, con alcuni contributi niente meno che illuminanti.
Quasi tutti i saggi si concentrano su un film in particolare, ad esclusione del primo che si occupa delle fotografie scattate per la rivista Look e dei seguenti due che hanno una prospettiva trasversale.
Cominciando proprio da "A portrait of the artist as a young man: the influence of Look magazine on Stanley Kubrick's career as a filmmaker," Philippe D. Mather, autore dell'ottimo Stanley Kubrick at Look Magazine, riassume qui la sua analisi delle fotografie del giovane Kubrick ma, pur ribadendo le critiche volte agli autori che leggono quegli scatti come anticipazioni di temi e inquadrature dei film successivi (leggi Enrico Ghezzi e soprattutto Reiner Crone), qui sfortunatamente finisce per compiere lo stesso errore. Sembra come se la possibilità di sfogliare le dozzine di provini custoditi all'Archivio abbia offuscato la capacità critica di Mather e lo abbia condotto sulla via del facile giochino di similitudini. Peccato.
Il secondo saggio, "Complete total final annihilating artistic control: Stanley Kubrick and post-war Hollywood," è scritto da Peter Krämer, un autore che in pochissimo tempo è diventato il mio kubrickista preferito. Autore di tre monografie pubblicate dal BFI – due nella serie Classics (Dr. Strangelove e 2001: a Space Odyssey) e una nella serie Controversies (A Clockwork Orange) – nonché di una decina di validissimi articoli accademici, Krämer meriterebbe un post a parte per il suo ruolo di studioso dello Stanley Kubrick produttore: interessato a documentare le circostanze storiche in cui i film di Kubrick furono prodotti e a evidenziare l'unicità del regista all'interno del sistema-Hollywood, Krämer è qui chiamato a introdurre la figura di Kubrick come artista fieramente indipendente e a ripercorrerne l'ascesa dalle prime opere a bassissimo budget fino alle vette delle classifiche dei film di maggior successo economico negli anni '60. E lo fa con una competenza, tanto di Kubrick che del cinema americano, ammirevole e invidiabile. Merita due righe il titolo del suo saggio: è un estratto da un memo scritto da Kubrick dopo la proposta della Columbia per un contratto che prevedeva il finanziamento di due film oltre Il Dr. Stranamore; Kubrick sceglierà di rifiutare l'accordo e scriverà a se stesso, come monito perenne, di voler "un completo totale definitivo distruttivo controllo artistico, soggetto solo all'approvazione del budget e alla scelta dei due attori principali." Kubrick vedeva se stesso come una Bomba-H lanciata su Hollywood. Applausi.
Il saggio "An alternative New York Jewish intellectual: Stanley Kubrick's cultural critique" di Nathan Abrams punta a reintrodurre l'elemento ebraico nella lettura dell'opera di Kubrick (con buona pace di Frederic Raphael, verrebbe da aggiungere). Concentrandosi principalmente su Lolita e Il Dr. Stranamore, Abrams individua una sensibilità marcatamente ebraica nello humour kubrickiano, osservando però come essa sia stata mitigata e resa mainstream dalla preoccupazione da uomo d'affari conscio che il suo film ha l'obbligo di far profitto al botteghino e che può farlo solo stemperando certi estremi per parlare a un pubblico più ampio possibile. Arricchito da citazioni dagli articoli dalle riviste newyorkesi d'epoca e dal carteggio a volte contrastato con altri artisti ebrei per così dire più radicali di Kubrick, il saggio risulta assolutamente interessante e prezioso.
Richard Daniels, archivista capo dello SKA, offre in "Selling the war film: Syd Stogel and the Paths of Glory file" un interessante resoconto della macchina pubblicitaria della United Artists alle prese con la promozione di Orizzonti di Gloria. Osservando i documenti contenuti in una scatola marchiata col nome di "Syd Stogel," Daniels ci racconta come il pubblicista della UA fosse interessato soprattutto alla burrascosa personalità di Timothy Carey (che finse il proprio rapimento all'insaputa di tutti e fu licenziato in tronco da James B. Harris), alla presenza di Christiane Harlan, sola donna in mezzo a cento uomini (ottimo materiale promozionale) e ovviamente a Kirk Douglas, la star di Hollywood che sapeva parlare correntemente tedesco e garantiva enorme visibilità alla produzione. Ne risulta il ritratto di un film gestito, nella parte di marketing e promozione, interamente dallo studio, da Harris e mai da Kubrick, concentrato questa volta solo ed esclusivamente sugli aspetti creativi del film.
Fiona Radford, con "Having his cake and eating it too: Stanley Kubrick and Spartacus," afferma che il film ha avuto un ruolo più importante nello sviluppo del regista di quanto comunemente si crede – e di quanto lui stesso sia stato disposto ad ammettere. Sono anche io dell'idea che Spartacus rappresenti un punto nodale nella carriera di Kubrick, tuttavia questo saggio è un po' sbrigativo, a tratti confuso, e non colpisce l'argomento a fondo.
Karyn Stuckey, un'altra archivista dello SKA, si cimenta con la ricostruzione della complicata produzione di Lolita, prima per riuscire a ottenere una sceneggiatura filmabile da Nabokov e poi per far passare il film girato attraverso le strettissime maglie del sistema censorio americano. Alla fine del lungo e articolato "Re-writing Nabokov's Lolita: Kubrick, the creative adaptor" risulta chiaro un punto fondamentale: che Kubrick, nonostante all'epoca avesse sminuito l'importanza del cambio di età della sua ninfetta dai 12 anni del libro ai 14 del film, ha davvero depotenziato l'elemento di maggior scandalo del romanzo di Nabokov, ma l'ha fatto non (o non soltanto) per assecondare la censura, quanto soprattutto per realizzare una commedia di costume. La Lolita di Kubrick, argomenta la Stuckey, è stata plasmata nell'adattamento fino a diventare una realistica eroina della storia d'amore: era infatti necessario un personaggio maturo e sfacciato abbastanza da divenire agente narrativo e non il mero oggetto del desiderio perverso di Humbert, come più probabilmente appare nel romanzo. Come con i lavori di Krämer, un altro ottimo uso dei documenti di produzione allo scopo di capire le intenzioni di Kubrick dietro il suo lavoro. Altro che i pipponi dei critici (dovevo dirlo, perdonatemi, lo stavo trattenendo già da troppi paragrafi).
A Lolita e alle sue lunghe battaglie contro la censura americana è dedicato un altro saggio, "A constructive form of censorship: disciplining Kubrick's Lolita" di Daniel Biltereyst. Con la trafila di lettere, cablogrammi, telefonate tra Kubrick, Harris, Geoffrey Shurlock della Motion Picture Association of America, John Trevelyan del British Board of Film Censors e del mediatore cattolico Martin Quigley, in un tripudio di accuse, minacce, pentimenti, discrediti, rassicurazioni e sgambetti, si ottiene un effetto di accumulo stancante e si capisce perfettamente la frustrazione che traspare da quella dichiarazione di Kubrick degli anni '70: "Se avessi saputo da subito quanto severe sarebbero state le limitazioni [che ci hanno imposto], probabilmente non avrei fatto il film." Un uso diverso del materiale dello SKA, ugualmente meritevole: documentare con esattezza la storia produttiva di un film.
Prendo l'occasione di questo saggio su Lolita per dire che gli autori di questo New Perspectives utilizzano materiale non solo di provenienza SKA ma anche di altri archivi storici, ad esempio quello presso la Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, indispensabile per la ricostruzione del rapporto con la censura, o le Kirk Douglas Papers donate al Wisconsin Center for Film and Theater Research. Insomma, tutti gli autori sanno fare il loro mestiere.
Tornando ai saggi, Mick Broderick, nel suo "Reconstructing Strangelove: outtakes from Kubrick's cutting room floor," descrive una serie di scene tagliate dal montaggio finale del Dr. Stranamore per dimostrare quanto Kubrick non avesse paura di scartare elementi importanti dello script e intere sequenze già girate per migliorare e affinare il proprio film, raggiungendo una grande economia narrativa e coerenza estetica, anche a scapito di quello che era stato il suo interesse iniziale. In fase di montaggio, Kubrick ha infatti tagliato numerose scene che contenevano i passaggi di dialogo più politici, presi talvolta parola per parola dai testi di strategia termonucleare che aveva letto per documentarsi. Il saggio va inoltre a smontare parte della mitologia stranamoriana, quella che riporta tre macchine da presa sempre rivolte su Peter Sellers per catturarne le mutevoli improvvisazioni, e kubrickiana, con i numerosi ciak per ogni scena. In realtà, i documenti dello SKA attestano l'uso di una sola macchina, raramente due, e di una media di ciak assolutamente in linea con le produzioni hollywoodiane dell'epoca, dei quali Kubrick decideva poi di stamparne al massimo due. Dall'elenco di scene tagliate manca, per motivi di spazio, la più famosa: la battaglia a torte in faccia; sarà molto probabilmente inclusa nel libro interamente dedicato alla lavorazione del Dr. Stranamore che Broderick sta scrivendo – una gran bella notizia, che salutiamo con gioia e con la speranza che il suo futuro resoconto sia un po' meno piatto di quello che fa in questo saggio.
Robert Poole, in "2001: a Space Odyssey and The Dawn of Man," racconta l'evoluzione del prologo preistorico del film, citando dai copioni conservati allo SKA. Il saggio procede senza troppa convinzione e senza altra ambizione che una mera documentazione. Poiché in parte l'argomento era stato coperto dal libro di Clarke The Lost World of 2001, il risultato non è tra i più sconvolgenti.
Il secondo saggio su 2001, "Speculative systems: Kubrick's interaction with the Aerospace Industry during the production of 2001," si concentra sul design futuribile del film. L'idea interessante dell'autrice, Regina Peldszus, è di considerare il film non solo come una produzione basata sulle previsioni dell'industria aerospaziale statunitense, i cui esponenti vennero assunti come consulenti, ma come un vero "case scenario" in cui progetti e ipotesi della NASA venivano sottoposti alla prova pratica grazie alla accurata simulazione cinematografica kubrickiana. Analizzando le lettere contenute allo SKA, l'autrice rivela come lo scambio tra Kubrick e gli scienziati della NASA sia stato assolutamente bilaterale, con idee suggerite e adottate da entrambe le parti. Non avessimo interrotto la corsa verso lo spazio, probabilmente avremmo davvero usato astronavi simili a quelle di 2001. How cool is that?
Peter Krämer torna con un altro saggio, "What's it going to be then, eh? Stanley Kubrick's adaptation of Anthony Burgess' A Clockwork Orange." Krämer analizza con estrema perspicacia sia le ragioni della scelta di Arancia Meccanica come ripiego dopo il fallimento del progetto Napoleon, sia la qualità dell'adattamento del romanzo di Burgess. Se Kubrick sceglie di abbassare la violenza scioccante del libro (Alex non ha più 15 anni, non stupra bambine di 10, uccide meno persone, e così via), nella conclusione della storia si riserva di essere meno diretto ed esplicito di Burgess: mentre nel romanzo Alex torna ad essere violento come prima (penultimo capitolo) per poi rinnegare tutto e crescere come un normale individuo pienamente integrato nella società (ultimo capitolo, eliminato nell'edizione americana del libro), Kubrick mantiene ambigua la risoluzione del suo Alex, lasciando allo spettatore il compito di decidere in quale modo sia "guarito, eccome." Un saggio più interpretativo rispetto agli altri, ma condotto sempre a partire dall'osservazione attenta dei documenti e quindi a bassissimo rischio castroneria.
Tatjana Ljujič, in "Painterly immediacy in Kubrick's Barry Lyndon," utilizza i documenti dello SKA, in questo caso le riproduzioni dei quadri presi come riferimento visivo da Kubrick in Barry Lyndon, per sbugiardare le teorie di alcuni critici sull'impostazione storico-estetica del film. Le incongruenze temporali del film, ossia l'uso di un brano ottocentesco di Schubert o di alcuni quadri del XIX secolo presi a modello per Lady Lyndon, non servono a Kubrick per fare un discorso critico sulla (ir)rappresentabilità di un tempo passato sempre mediata dal presente (leggi: pippone da critico), ma semplicemente sono decisioni prese anteponendo la chiarezza emotiva dei personaggi alla sterile aderenza storica. Le fonti pittoriche settecentesche sono state utilizzate dal reparto scenografico; per tutto il resto, ossia per la drammatizzazione o se vogliamo la direzione degli attori, Kubrick è stato guidato da opere più romantiche ma, per usare le parole della Ljujič, "il motivo dietro le sue scelte anacronistiche non risponde a un desiderio di relativizzare il tentativo del film di essere storicamente autentico, ma piuttosto alla volontà di catturare visivamente il complesso mondo interiore dei personaggi." D'altra parte, proprio non esiste il senso del tragico nelle opere del '700, i cui ritratti sono emotivamente bidimensionali. Kubrick aveva già risposto a questa critica in un'intervista con Michel Ciment ma è bello veder confermata questa sua idea con uno studio approfondito delle fonti. E' così che deve essere usato lo SKA, per tentare di ritrovare l'idea originaria che ha avuto Kubrick, spesso ormai sepolta sotto quintalate di carta da critici. Assumerei subito la Ljujič per un libro di mille pagine che illustri tutti i dipinti copiati da Kubrick nelle inquadrature di Barry Lyndon, che questo suo saggio mi sa di antipasto.
Anche a Barry Lyndon sono stati dedicati due saggi, ma il secondo, "From Thackeray to the troubles: the Irishness of Barry Lyndon" di Maria Pramaggiore, è al contrario molto deludente nonostante l'autrice abbia già pubblicato una monografia sul film. Come prima cosa la Pramaggiore commette un errore quando dice che la decisione di girare il film in Irlanda fu presa in fretta e furia un mese prima di iniziare le riprese: prendendo come prova una lettera di Jan Harlan del giugno 1973, dichiara che Kubrick si convinse ad allontanarsi da casa solo di fronte all'impossibilità di trovare location adatte nel sud dell'Inghilterra. Non è così: ci sono interviste a Marisa Berenson dell'aprile 1973 e articoli di Variety del maggio di quell'anno che annunciano la produzione di Barry Lyndon in Inghilterra, Irlanda e Europa continentale. Secondariamente, più della metà del saggio è dedicato al tono melanconico del film, derivato dalla tradizione irlandese: un'idea piuttosto inutile anche quando non scade, come in realtà fa di frequente, nell'interpretazione totalmente soggettiva. Non è questo lo scopo di questo libro.
Catriona McAvoy, in "Creating The Shining: looking beyond the myths," cerca di smentire le leggende attorno al regista a partire da nuove interviste svolte per la sua tesi di dottorato. Scegliendo Shining come "case study" e citando soprattutto la biografia di Baxter e il libro di Raphael, la McAvoy sciorina i soliti aggettivi – ossessivo, tiranno, despota, passivo aggressivo – e li contraddice uno per uno, spaziando dalla pre-produzione alle riprese fino alla post-produzione e alla distribuzione del film grazie a contributi di Jan Harlan, Katharina Kubrick, la sceneggiatrice Diane Johnson e l'aiuto regista Brian Cook. Il tono però è piuttosto piatto e in definitiva molto poco incisivo. E' sempre bene ripetere che Kubrick era in realtà un regista che ascoltava il parere di ogni singolo collaboratore, che teneva ogni idea in grande considerazione e che spesso finiva per usare i suggerimenti che gli venivano offerti, tuttavia forse un saggio accademico non è il miglior veicolo per parlare del carattere di una persona.
Pratap Rughani, documentarista e fotoreporter di guerra, si interroga, nel saggio "Kubrick's lens: dispatches from the edge," sul perché Kubrick abbia mantenuto una prospettiva rigorosamente americana sul racconto della guerra in Vietnam. Se anche nelle interviste rilasciate all'uscita del film aveva dichiarato di considerare il Vietnam una "guerra manipolata dai falchi intellettuali che cercavano di alterare la realtà come un'agenzia pubblicitaria," Rughani scrive che nel film non v'è traccia di un discorso critico su questa rappresentazione. Ad esempio, non viene mai preso in carico il punto di vista dei Vietnamiti. Una nota di Kubrick rinvenuta nello SKA sembra in effetti documentare questa intenzione: "Ci dovrebbe essere un personaggio vietnamita che (rappresenti) riassuma la posizione dei V -- siamo completamente senza un punto di vista dei V." Eppure, a giudicare dal film finito, Kubrick deve aver scelto di non seguire questa strada. Pur ponendo una domanda interessante, Rughani non sa come trovare una risposta e il suo saggio risulta tronco.
Con gli ultimi due saggi continua la parabola qualitativa discendente. Karen A. Ritzenoff, in "UK frost can kill palms: layers of reality in Stanley Kubrick's Full Metal Jacket," si concentra nella prima parte su come Kubrick abbia realizzato un film ambientato ai tropici nei dintorni di Londra. Dopo aver parlato brevemente del colpo di fortuna di aver trovato la fabbrica abbandonata a Beckton e dell'importazione delle palme dalla Spagna, la Ritzenoff prende una piega interpretativa sulla rappresentazione della guerra da parte di Kubrick, senza più fare alcun riferimento al materiale d'archivio, ridotto quindi a un mero pretesto per parlare d'altro.
Lucy Scholes e Richard Martin si occupano delle scatole che custodiscono il materiale relativo a Eyes Wide Shut nel loro saggio "Archived desires: Eyes Wide Shut:" un paio di pagine di copione dalle centinaia e centinaia scritte da Frederic Raphael, le migliaia di fotografie scattate da Manuel Harlan in giro per Londra alla ricerca di posti simili a New York, i disegni di Chris Baker per visualizzare il sogno di Alice, idea poi scartata, e i poster proposti da Kubrick con le facce di Cruise e Kidman come vuote maschere, poi cassati dalla Warner. Il saggio era partito ricordando il triste destino critico contro cui era andato incontro il film alla sua uscita nel 1999, ma il materiale dello SKA presentato nudo e crudo e una manciata di citazioni da Freud non riescono da soli a controbattere a quelle superficiali recensioni – se questo era lo scopo del saggio, che in realtà pare più il lavoro di due persone che, invitate a dare un'occhiata all'Archivio, si sono limitate a indicare quelle tre o quattro cose che più hanno colpito il loro interesse.
Nonostante la qualità altalenante, i pregi di questo Stanley Kubrick: New Perspectives sono indubbiamente maggiori dei difetti e lo scopo di indicare una nuova via alla critica kubrickiana è sicuramente raggiunto. Un plauso va quindi ai curatori, che non casualmente sono tra gli autori degli interventi più incisivi: Tatjana Ljujič, Peter Krämer e Richard Daniels. Accompagnano i saggi, come avete visto dalle foto, riproduzioni dei documenti utilizzati nel testo e una manciata di foto di scena inedite.
Il libro è disponibile sul sito della Black Dog Publishing o su Amazon. Acquistate con fiducia, soddisfazione nella lettura garantita.
Ne segue che questo libro rappresenta il primo autorevole tentativo di rinnovare lo studio dei film di Kubrick, dopo i primi discutibili esiti dello Stanley Kubrick Archives della Taschen, interessato più a suscitare ammirazione che riflessione, e del catalogo della mostra di Francoforte che, pur migliore, soffriva di una certa discontinuità e minor incisività, a causa probabilmente di una prospettiva meno distanziata.
Anche questo libro, come è inevitabile per ogni raccolta da più autori, ha il difetto di presentare saggi la cui qualità risulta discontinua, ma il livello medio è sicuramente alto, con alcuni contributi niente meno che illuminanti.
Quasi tutti i saggi si concentrano su un film in particolare, ad esclusione del primo che si occupa delle fotografie scattate per la rivista Look e dei seguenti due che hanno una prospettiva trasversale.
Cominciando proprio da "A portrait of the artist as a young man: the influence of Look magazine on Stanley Kubrick's career as a filmmaker," Philippe D. Mather, autore dell'ottimo Stanley Kubrick at Look Magazine, riassume qui la sua analisi delle fotografie del giovane Kubrick ma, pur ribadendo le critiche volte agli autori che leggono quegli scatti come anticipazioni di temi e inquadrature dei film successivi (leggi Enrico Ghezzi e soprattutto Reiner Crone), qui sfortunatamente finisce per compiere lo stesso errore. Sembra come se la possibilità di sfogliare le dozzine di provini custoditi all'Archivio abbia offuscato la capacità critica di Mather e lo abbia condotto sulla via del facile giochino di similitudini. Peccato.
Il secondo saggio, "Complete total final annihilating artistic control: Stanley Kubrick and post-war Hollywood," è scritto da Peter Krämer, un autore che in pochissimo tempo è diventato il mio kubrickista preferito. Autore di tre monografie pubblicate dal BFI – due nella serie Classics (Dr. Strangelove e 2001: a Space Odyssey) e una nella serie Controversies (A Clockwork Orange) – nonché di una decina di validissimi articoli accademici, Krämer meriterebbe un post a parte per il suo ruolo di studioso dello Stanley Kubrick produttore: interessato a documentare le circostanze storiche in cui i film di Kubrick furono prodotti e a evidenziare l'unicità del regista all'interno del sistema-Hollywood, Krämer è qui chiamato a introdurre la figura di Kubrick come artista fieramente indipendente e a ripercorrerne l'ascesa dalle prime opere a bassissimo budget fino alle vette delle classifiche dei film di maggior successo economico negli anni '60. E lo fa con una competenza, tanto di Kubrick che del cinema americano, ammirevole e invidiabile. Merita due righe il titolo del suo saggio: è un estratto da un memo scritto da Kubrick dopo la proposta della Columbia per un contratto che prevedeva il finanziamento di due film oltre Il Dr. Stranamore; Kubrick sceglierà di rifiutare l'accordo e scriverà a se stesso, come monito perenne, di voler "un completo totale definitivo distruttivo controllo artistico, soggetto solo all'approvazione del budget e alla scelta dei due attori principali." Kubrick vedeva se stesso come una Bomba-H lanciata su Hollywood. Applausi.
Il saggio "An alternative New York Jewish intellectual: Stanley Kubrick's cultural critique" di Nathan Abrams punta a reintrodurre l'elemento ebraico nella lettura dell'opera di Kubrick (con buona pace di Frederic Raphael, verrebbe da aggiungere). Concentrandosi principalmente su Lolita e Il Dr. Stranamore, Abrams individua una sensibilità marcatamente ebraica nello humour kubrickiano, osservando però come essa sia stata mitigata e resa mainstream dalla preoccupazione da uomo d'affari conscio che il suo film ha l'obbligo di far profitto al botteghino e che può farlo solo stemperando certi estremi per parlare a un pubblico più ampio possibile. Arricchito da citazioni dagli articoli dalle riviste newyorkesi d'epoca e dal carteggio a volte contrastato con altri artisti ebrei per così dire più radicali di Kubrick, il saggio risulta assolutamente interessante e prezioso.
Richard Daniels, archivista capo dello SKA, offre in "Selling the war film: Syd Stogel and the Paths of Glory file" un interessante resoconto della macchina pubblicitaria della United Artists alle prese con la promozione di Orizzonti di Gloria. Osservando i documenti contenuti in una scatola marchiata col nome di "Syd Stogel," Daniels ci racconta come il pubblicista della UA fosse interessato soprattutto alla burrascosa personalità di Timothy Carey (che finse il proprio rapimento all'insaputa di tutti e fu licenziato in tronco da James B. Harris), alla presenza di Christiane Harlan, sola donna in mezzo a cento uomini (ottimo materiale promozionale) e ovviamente a Kirk Douglas, la star di Hollywood che sapeva parlare correntemente tedesco e garantiva enorme visibilità alla produzione. Ne risulta il ritratto di un film gestito, nella parte di marketing e promozione, interamente dallo studio, da Harris e mai da Kubrick, concentrato questa volta solo ed esclusivamente sugli aspetti creativi del film.
Fiona Radford, con "Having his cake and eating it too: Stanley Kubrick and Spartacus," afferma che il film ha avuto un ruolo più importante nello sviluppo del regista di quanto comunemente si crede – e di quanto lui stesso sia stato disposto ad ammettere. Sono anche io dell'idea che Spartacus rappresenti un punto nodale nella carriera di Kubrick, tuttavia questo saggio è un po' sbrigativo, a tratti confuso, e non colpisce l'argomento a fondo.
Karyn Stuckey, un'altra archivista dello SKA, si cimenta con la ricostruzione della complicata produzione di Lolita, prima per riuscire a ottenere una sceneggiatura filmabile da Nabokov e poi per far passare il film girato attraverso le strettissime maglie del sistema censorio americano. Alla fine del lungo e articolato "Re-writing Nabokov's Lolita: Kubrick, the creative adaptor" risulta chiaro un punto fondamentale: che Kubrick, nonostante all'epoca avesse sminuito l'importanza del cambio di età della sua ninfetta dai 12 anni del libro ai 14 del film, ha davvero depotenziato l'elemento di maggior scandalo del romanzo di Nabokov, ma l'ha fatto non (o non soltanto) per assecondare la censura, quanto soprattutto per realizzare una commedia di costume. La Lolita di Kubrick, argomenta la Stuckey, è stata plasmata nell'adattamento fino a diventare una realistica eroina della storia d'amore: era infatti necessario un personaggio maturo e sfacciato abbastanza da divenire agente narrativo e non il mero oggetto del desiderio perverso di Humbert, come più probabilmente appare nel romanzo. Come con i lavori di Krämer, un altro ottimo uso dei documenti di produzione allo scopo di capire le intenzioni di Kubrick dietro il suo lavoro. Altro che i pipponi dei critici (dovevo dirlo, perdonatemi, lo stavo trattenendo già da troppi paragrafi).
A Lolita e alle sue lunghe battaglie contro la censura americana è dedicato un altro saggio, "A constructive form of censorship: disciplining Kubrick's Lolita" di Daniel Biltereyst. Con la trafila di lettere, cablogrammi, telefonate tra Kubrick, Harris, Geoffrey Shurlock della Motion Picture Association of America, John Trevelyan del British Board of Film Censors e del mediatore cattolico Martin Quigley, in un tripudio di accuse, minacce, pentimenti, discrediti, rassicurazioni e sgambetti, si ottiene un effetto di accumulo stancante e si capisce perfettamente la frustrazione che traspare da quella dichiarazione di Kubrick degli anni '70: "Se avessi saputo da subito quanto severe sarebbero state le limitazioni [che ci hanno imposto], probabilmente non avrei fatto il film." Un uso diverso del materiale dello SKA, ugualmente meritevole: documentare con esattezza la storia produttiva di un film.
Prendo l'occasione di questo saggio su Lolita per dire che gli autori di questo New Perspectives utilizzano materiale non solo di provenienza SKA ma anche di altri archivi storici, ad esempio quello presso la Academy of Motion Pictures Arts and Sciences, indispensabile per la ricostruzione del rapporto con la censura, o le Kirk Douglas Papers donate al Wisconsin Center for Film and Theater Research. Insomma, tutti gli autori sanno fare il loro mestiere.
Tornando ai saggi, Mick Broderick, nel suo "Reconstructing Strangelove: outtakes from Kubrick's cutting room floor," descrive una serie di scene tagliate dal montaggio finale del Dr. Stranamore per dimostrare quanto Kubrick non avesse paura di scartare elementi importanti dello script e intere sequenze già girate per migliorare e affinare il proprio film, raggiungendo una grande economia narrativa e coerenza estetica, anche a scapito di quello che era stato il suo interesse iniziale. In fase di montaggio, Kubrick ha infatti tagliato numerose scene che contenevano i passaggi di dialogo più politici, presi talvolta parola per parola dai testi di strategia termonucleare che aveva letto per documentarsi. Il saggio va inoltre a smontare parte della mitologia stranamoriana, quella che riporta tre macchine da presa sempre rivolte su Peter Sellers per catturarne le mutevoli improvvisazioni, e kubrickiana, con i numerosi ciak per ogni scena. In realtà, i documenti dello SKA attestano l'uso di una sola macchina, raramente due, e di una media di ciak assolutamente in linea con le produzioni hollywoodiane dell'epoca, dei quali Kubrick decideva poi di stamparne al massimo due. Dall'elenco di scene tagliate manca, per motivi di spazio, la più famosa: la battaglia a torte in faccia; sarà molto probabilmente inclusa nel libro interamente dedicato alla lavorazione del Dr. Stranamore che Broderick sta scrivendo – una gran bella notizia, che salutiamo con gioia e con la speranza che il suo futuro resoconto sia un po' meno piatto di quello che fa in questo saggio.
Robert Poole, in "2001: a Space Odyssey and The Dawn of Man," racconta l'evoluzione del prologo preistorico del film, citando dai copioni conservati allo SKA. Il saggio procede senza troppa convinzione e senza altra ambizione che una mera documentazione. Poiché in parte l'argomento era stato coperto dal libro di Clarke The Lost World of 2001, il risultato non è tra i più sconvolgenti.
Il secondo saggio su 2001, "Speculative systems: Kubrick's interaction with the Aerospace Industry during the production of 2001," si concentra sul design futuribile del film. L'idea interessante dell'autrice, Regina Peldszus, è di considerare il film non solo come una produzione basata sulle previsioni dell'industria aerospaziale statunitense, i cui esponenti vennero assunti come consulenti, ma come un vero "case scenario" in cui progetti e ipotesi della NASA venivano sottoposti alla prova pratica grazie alla accurata simulazione cinematografica kubrickiana. Analizzando le lettere contenute allo SKA, l'autrice rivela come lo scambio tra Kubrick e gli scienziati della NASA sia stato assolutamente bilaterale, con idee suggerite e adottate da entrambe le parti. Non avessimo interrotto la corsa verso lo spazio, probabilmente avremmo davvero usato astronavi simili a quelle di 2001. How cool is that?
Peter Krämer torna con un altro saggio, "What's it going to be then, eh? Stanley Kubrick's adaptation of Anthony Burgess' A Clockwork Orange." Krämer analizza con estrema perspicacia sia le ragioni della scelta di Arancia Meccanica come ripiego dopo il fallimento del progetto Napoleon, sia la qualità dell'adattamento del romanzo di Burgess. Se Kubrick sceglie di abbassare la violenza scioccante del libro (Alex non ha più 15 anni, non stupra bambine di 10, uccide meno persone, e così via), nella conclusione della storia si riserva di essere meno diretto ed esplicito di Burgess: mentre nel romanzo Alex torna ad essere violento come prima (penultimo capitolo) per poi rinnegare tutto e crescere come un normale individuo pienamente integrato nella società (ultimo capitolo, eliminato nell'edizione americana del libro), Kubrick mantiene ambigua la risoluzione del suo Alex, lasciando allo spettatore il compito di decidere in quale modo sia "guarito, eccome." Un saggio più interpretativo rispetto agli altri, ma condotto sempre a partire dall'osservazione attenta dei documenti e quindi a bassissimo rischio castroneria.
Tatjana Ljujič, in "Painterly immediacy in Kubrick's Barry Lyndon," utilizza i documenti dello SKA, in questo caso le riproduzioni dei quadri presi come riferimento visivo da Kubrick in Barry Lyndon, per sbugiardare le teorie di alcuni critici sull'impostazione storico-estetica del film. Le incongruenze temporali del film, ossia l'uso di un brano ottocentesco di Schubert o di alcuni quadri del XIX secolo presi a modello per Lady Lyndon, non servono a Kubrick per fare un discorso critico sulla (ir)rappresentabilità di un tempo passato sempre mediata dal presente (leggi: pippone da critico), ma semplicemente sono decisioni prese anteponendo la chiarezza emotiva dei personaggi alla sterile aderenza storica. Le fonti pittoriche settecentesche sono state utilizzate dal reparto scenografico; per tutto il resto, ossia per la drammatizzazione o se vogliamo la direzione degli attori, Kubrick è stato guidato da opere più romantiche ma, per usare le parole della Ljujič, "il motivo dietro le sue scelte anacronistiche non risponde a un desiderio di relativizzare il tentativo del film di essere storicamente autentico, ma piuttosto alla volontà di catturare visivamente il complesso mondo interiore dei personaggi." D'altra parte, proprio non esiste il senso del tragico nelle opere del '700, i cui ritratti sono emotivamente bidimensionali. Kubrick aveva già risposto a questa critica in un'intervista con Michel Ciment ma è bello veder confermata questa sua idea con uno studio approfondito delle fonti. E' così che deve essere usato lo SKA, per tentare di ritrovare l'idea originaria che ha avuto Kubrick, spesso ormai sepolta sotto quintalate di carta da critici. Assumerei subito la Ljujič per un libro di mille pagine che illustri tutti i dipinti copiati da Kubrick nelle inquadrature di Barry Lyndon, che questo suo saggio mi sa di antipasto.
Anche a Barry Lyndon sono stati dedicati due saggi, ma il secondo, "From Thackeray to the troubles: the Irishness of Barry Lyndon" di Maria Pramaggiore, è al contrario molto deludente nonostante l'autrice abbia già pubblicato una monografia sul film. Come prima cosa la Pramaggiore commette un errore quando dice che la decisione di girare il film in Irlanda fu presa in fretta e furia un mese prima di iniziare le riprese: prendendo come prova una lettera di Jan Harlan del giugno 1973, dichiara che Kubrick si convinse ad allontanarsi da casa solo di fronte all'impossibilità di trovare location adatte nel sud dell'Inghilterra. Non è così: ci sono interviste a Marisa Berenson dell'aprile 1973 e articoli di Variety del maggio di quell'anno che annunciano la produzione di Barry Lyndon in Inghilterra, Irlanda e Europa continentale. Secondariamente, più della metà del saggio è dedicato al tono melanconico del film, derivato dalla tradizione irlandese: un'idea piuttosto inutile anche quando non scade, come in realtà fa di frequente, nell'interpretazione totalmente soggettiva. Non è questo lo scopo di questo libro.
Catriona McAvoy, in "Creating The Shining: looking beyond the myths," cerca di smentire le leggende attorno al regista a partire da nuove interviste svolte per la sua tesi di dottorato. Scegliendo Shining come "case study" e citando soprattutto la biografia di Baxter e il libro di Raphael, la McAvoy sciorina i soliti aggettivi – ossessivo, tiranno, despota, passivo aggressivo – e li contraddice uno per uno, spaziando dalla pre-produzione alle riprese fino alla post-produzione e alla distribuzione del film grazie a contributi di Jan Harlan, Katharina Kubrick, la sceneggiatrice Diane Johnson e l'aiuto regista Brian Cook. Il tono però è piuttosto piatto e in definitiva molto poco incisivo. E' sempre bene ripetere che Kubrick era in realtà un regista che ascoltava il parere di ogni singolo collaboratore, che teneva ogni idea in grande considerazione e che spesso finiva per usare i suggerimenti che gli venivano offerti, tuttavia forse un saggio accademico non è il miglior veicolo per parlare del carattere di una persona.
Pratap Rughani, documentarista e fotoreporter di guerra, si interroga, nel saggio "Kubrick's lens: dispatches from the edge," sul perché Kubrick abbia mantenuto una prospettiva rigorosamente americana sul racconto della guerra in Vietnam. Se anche nelle interviste rilasciate all'uscita del film aveva dichiarato di considerare il Vietnam una "guerra manipolata dai falchi intellettuali che cercavano di alterare la realtà come un'agenzia pubblicitaria," Rughani scrive che nel film non v'è traccia di un discorso critico su questa rappresentazione. Ad esempio, non viene mai preso in carico il punto di vista dei Vietnamiti. Una nota di Kubrick rinvenuta nello SKA sembra in effetti documentare questa intenzione: "Ci dovrebbe essere un personaggio vietnamita che (rappresenti) riassuma la posizione dei V -- siamo completamente senza un punto di vista dei V." Eppure, a giudicare dal film finito, Kubrick deve aver scelto di non seguire questa strada. Pur ponendo una domanda interessante, Rughani non sa come trovare una risposta e il suo saggio risulta tronco.
Con gli ultimi due saggi continua la parabola qualitativa discendente. Karen A. Ritzenoff, in "UK frost can kill palms: layers of reality in Stanley Kubrick's Full Metal Jacket," si concentra nella prima parte su come Kubrick abbia realizzato un film ambientato ai tropici nei dintorni di Londra. Dopo aver parlato brevemente del colpo di fortuna di aver trovato la fabbrica abbandonata a Beckton e dell'importazione delle palme dalla Spagna, la Ritzenoff prende una piega interpretativa sulla rappresentazione della guerra da parte di Kubrick, senza più fare alcun riferimento al materiale d'archivio, ridotto quindi a un mero pretesto per parlare d'altro.
Lucy Scholes e Richard Martin si occupano delle scatole che custodiscono il materiale relativo a Eyes Wide Shut nel loro saggio "Archived desires: Eyes Wide Shut:" un paio di pagine di copione dalle centinaia e centinaia scritte da Frederic Raphael, le migliaia di fotografie scattate da Manuel Harlan in giro per Londra alla ricerca di posti simili a New York, i disegni di Chris Baker per visualizzare il sogno di Alice, idea poi scartata, e i poster proposti da Kubrick con le facce di Cruise e Kidman come vuote maschere, poi cassati dalla Warner. Il saggio era partito ricordando il triste destino critico contro cui era andato incontro il film alla sua uscita nel 1999, ma il materiale dello SKA presentato nudo e crudo e una manciata di citazioni da Freud non riescono da soli a controbattere a quelle superficiali recensioni – se questo era lo scopo del saggio, che in realtà pare più il lavoro di due persone che, invitate a dare un'occhiata all'Archivio, si sono limitate a indicare quelle tre o quattro cose che più hanno colpito il loro interesse.
Nonostante la qualità altalenante, i pregi di questo Stanley Kubrick: New Perspectives sono indubbiamente maggiori dei difetti e lo scopo di indicare una nuova via alla critica kubrickiana è sicuramente raggiunto. Un plauso va quindi ai curatori, che non casualmente sono tra gli autori degli interventi più incisivi: Tatjana Ljujič, Peter Krämer e Richard Daniels. Accompagnano i saggi, come avete visto dalle foto, riproduzioni dei documenti utilizzati nel testo e una manciata di foto di scena inedite.
Il libro è disponibile sul sito della Black Dog Publishing o su Amazon. Acquistate con fiducia, soddisfazione nella lettura garantita.
31 luglio 2015
Stanley Kubrick e la Guerra di Secessione Americana
Cari lettori,
vi segnalo che questa domenica uscirà sull'inserto culturale del Giornale un mio pezzo sull'interesse pluri-decennale di Kubrick per la Guerra di Secessione Americana e sul suo tentativo di realizzare un film sull'argomento alla fine degli anni '50.
Naturalmente l'articolo nasce a seguito delle recenti notizie che questo script verrà realizzato come una miniserie TV per la regia di Marc Forster.
Se volete saperne di più, vi aspetto domenica in edicola.
Grazie per l'attenzione e buona lettura,
F.
Aggiornamento 02.08.2015: L'articolo è ora disponibile anche sul sito del Giornale, per chi non avesse avuto modo di prendere la copia stamani.
vi segnalo che questa domenica uscirà sull'inserto culturale del Giornale un mio pezzo sull'interesse pluri-decennale di Kubrick per la Guerra di Secessione Americana e sul suo tentativo di realizzare un film sull'argomento alla fine degli anni '50.
Naturalmente l'articolo nasce a seguito delle recenti notizie che questo script verrà realizzato come una miniserie TV per la regia di Marc Forster.
Se volete saperne di più, vi aspetto domenica in edicola.
Grazie per l'attenzione e buona lettura,
F.
Aggiornamento 02.08.2015: L'articolo è ora disponibile anche sul sito del Giornale, per chi non avesse avuto modo di prendere la copia stamani.
13 luglio 2015
ArchivioKubrick social
Un post di puro aggiornamento social-tecnologico: ho inserito nella colonna qui a destra il badge di Twitter così potete seguire i miei cinguettii anche se non avete un profilo su quella piattaforma.
Oltre a riportare link ai post che scrivo qui, metto su Twitter alcune cose interessanti ma troppo brevi per un post dedicato su questo blog: tra gli ultimi esempi, l'arrivo dell'edizione economica del libro The Making of Stanley Kubrick's 2001: a Space Odyssey della Taschen (69€ circa contro i 700€ iniziali), il poster alternativo di Full Metal Jacket dopo che la frase di lancio originale fu rifiutata dalla metà dai giornali americani e un articoletto di gossip d'annata dai tempi di Barry Lyndon.
Su Twitter finiscono infatti anche i post che scrivo in inglese su Tumblr: sono immagini e curiosità varie dai miei archivi storici, nonché repost da altri articoli interessanti che girano su quella piattaforma.
Insomma, con questa colonna di destra dovreste essere a posto senza struggervi nell'incertezza di esservi persi qualcosa.
Se proprio siete dediti allo stalking, potete anche seguire le notizie di ArchivioKubrick anche su Facebook mettendo un "mi piace" alla mia pagina. Su Facebook ci sono poi due pagine in inglese che contano un discreto numero di fan e sono luogo per discussioni a volte interessanti (a volte meno): il gruppo alt.movies.kubrick, che i più anzianamente social tra di noi ricorderanno dai tempi di usenet, e la Stanley Kubrick Appreciation Society, attiva da qualche anno e decisamente più variegata.
Grazie, e tornate pure sotto l'ombrellone.
Oltre a riportare link ai post che scrivo qui, metto su Twitter alcune cose interessanti ma troppo brevi per un post dedicato su questo blog: tra gli ultimi esempi, l'arrivo dell'edizione economica del libro The Making of Stanley Kubrick's 2001: a Space Odyssey della Taschen (69€ circa contro i 700€ iniziali), il poster alternativo di Full Metal Jacket dopo che la frase di lancio originale fu rifiutata dalla metà dai giornali americani e un articoletto di gossip d'annata dai tempi di Barry Lyndon.
Su Twitter finiscono infatti anche i post che scrivo in inglese su Tumblr: sono immagini e curiosità varie dai miei archivi storici, nonché repost da altri articoli interessanti che girano su quella piattaforma.
Insomma, con questa colonna di destra dovreste essere a posto senza struggervi nell'incertezza di esservi persi qualcosa.
Se proprio siete dediti allo stalking, potete anche seguire le notizie di ArchivioKubrick anche su Facebook mettendo un "mi piace" alla mia pagina. Su Facebook ci sono poi due pagine in inglese che contano un discreto numero di fan e sono luogo per discussioni a volte interessanti (a volte meno): il gruppo alt.movies.kubrick, che i più anzianamente social tra di noi ricorderanno dai tempi di usenet, e la Stanley Kubrick Appreciation Society, attiva da qualche anno e decisamente più variegata.
Grazie, e tornate pure sotto l'ombrellone.
05 giugno 2015
Le Ultime Cento Ore di Stanley Kubrick: risolto il giallo della misteriosa sceneggiatura
Vi ricorderete (sennò ci sono io qui apposta) che alla Biblioteca "Luigi Chiarini" del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma è conservata una sceneggiatura dattiloscritta del 1964, attribuita a Stanley Kubrick e intitolata Le Ultime Cento Ore.
Fino ad oggi l'attribuzione era sempre stata incerta: lo scritto non compare da nessuna parte nella letteratura kubrickiana e il polverone che imperversò sulla stampa nazionale a seguito della scoperta da parte di Tullio Kezich nel dicembre del 1999 si chiuse con il classico pasticciaccio brutto all'italiana.
Circa un anno fa mi sono divertito a ripercorrere al contrario la storia di questo strano copione e ho risolto tutti i relativi misteri. Potete leggere il resoconto del "giallo Kubrick," come fu chiamato all'epoca, sull'area Biblioteca del CSC in formato PDF.
Come avrete già intuito, ho dato all'articolo uno stile ironico, sia per non prendersi troppo sul serio (l'asse della terra non si è spostato di un millimetro a seguito della mia risoluzione, e nemmeno cadranno le mensole della vostra libreria kubrickiana) sia per portare una ventata d'aria fresca alla spesso ingessata letteratura dedicata al nostro (l'iconoclastia nella critica cinematografica non è mai abbastanza).
Il titolo dell'agile saggetto, Le ultime cento ore, ovvero: come imparai a riconoscere la voce di Stanley Kubrick in mezzo al chiasso di tutti gli altri, vi dice anche che il taglio dissacrante rende omaggio al "giornalismo gonzo" reso celebre da Terry Southern, co-sceneggiatore del Dr. Stranamore. Buona lettura.
PS: dopo che avrete trovato il colpevole del giallo Kubrick, potete leggere quest'altro mio articolo, di cui non vi dico nulla per non rovinare il finale ai più distratti.
Fino ad oggi l'attribuzione era sempre stata incerta: lo scritto non compare da nessuna parte nella letteratura kubrickiana e il polverone che imperversò sulla stampa nazionale a seguito della scoperta da parte di Tullio Kezich nel dicembre del 1999 si chiuse con il classico pasticciaccio brutto all'italiana.
Circa un anno fa mi sono divertito a ripercorrere al contrario la storia di questo strano copione e ho risolto tutti i relativi misteri. Potete leggere il resoconto del "giallo Kubrick," come fu chiamato all'epoca, sull'area Biblioteca del CSC in formato PDF.
Come avrete già intuito, ho dato all'articolo uno stile ironico, sia per non prendersi troppo sul serio (l'asse della terra non si è spostato di un millimetro a seguito della mia risoluzione, e nemmeno cadranno le mensole della vostra libreria kubrickiana) sia per portare una ventata d'aria fresca alla spesso ingessata letteratura dedicata al nostro (l'iconoclastia nella critica cinematografica non è mai abbastanza).
Il titolo dell'agile saggetto, Le ultime cento ore, ovvero: come imparai a riconoscere la voce di Stanley Kubrick in mezzo al chiasso di tutti gli altri, vi dice anche che il taglio dissacrante rende omaggio al "giornalismo gonzo" reso celebre da Terry Southern, co-sceneggiatore del Dr. Stranamore. Buona lettura.
PS: dopo che avrete trovato il colpevole del giallo Kubrick, potete leggere quest'altro mio articolo, di cui non vi dico nulla per non rovinare il finale ai più distratti.
27 maggio 2015
35 anni di Shining, evento speciale a St. Albans
Lunedì 25 maggio si è tenuta a St. Albans una proiezione speciale di Shining a 35 anni dalla sua uscita nelle sale, con la partecipazione del cast e della troupe che ha lavorato alla realizzazione del film. Organizzato dalla Elstree Foundation, che sta raccogliendo testimonianze per preservare la memoria di uno dei teatri di posa più importanti del cinema inglese, con il patrocinio della Warner Bros. e della Kubrick Estate, l'evento ha visto la partecipazione di una ventina di ospiti.
In attesa della proiezione, sullo schermo del bellissimo cinema Odyssey di St. Albans sono state proiettate diverse fotografie dal set, molte delle quali non avevo mai visto, accompagnate da appropriate musiche anni '20.
Lee Unkrich, regista della Pixar e custode del Tumblr The Overlook Hotel che attualmente sta preparando un libro sulla lavorazione di Shining per la Kubrick Estate, ha moderato l'incontro facendo brevi domande agli ospiti invitati sul palco.
Jan Harlan ha detto che l'intero film è stato girato in studio, a meno di 10 km dal cinema dove ci trovavamo, e che le uniche riprese in location sono state quelle per gli esterni dell'hotel, girate da lui e Douglas Milsome di fronte al Timberline Lodge, in Oregon. "Non ha alcuna importanza se l'interno dell'albergo non corrisponde all'esterno," ha concluso, "è un film dell'orrore, non è necessario che tutto abbia un senso. Come diceva Stanley con una delle sue frasi a effetto, 'Non metterti mai a spiegare qualcosa che tu stesso non riesci a capire.'"
La scrittrice Diane Johnson ha raccontato che si trovava a Londra quando le fu detto di "aspettare la telefonata di uno sconosciuto." Per circa una settimana, lei e Kubrick si intrattennero in conversazioni telefoniche serali, "su tutti gli argomenti possibili tranne che i film." Infine, Kubrick la invitò a casa dove le disse che avrebbe voluto adattare il suo romanzo The Shadow Knows, ma che riteneva il compito troppo difficile e quindi scelse quello di Stephen King, Shining. "Ma chiamò comunque me come collaboratrice perché pensava che io fossi più facile di King." Per undici settimane Diane fu accompagnata da Emilio D'Alessandro ad Abbots Mead, dove la aspettava Kubrick: "Passavamo la giornata insieme, parlando di tutto, guardando film e mangiando cinese. Fu davvero fantastico."
Diane ha poi spiegato il metodo di lavoro sulla sceneggiatura: "Disse che avremmo lavorato separatamente, compilando ciascuno una lista di scene del romanzo che volevamo mettere nel film. Mi dette una copia del libro e un paio di forbici per tagliarle letteralmente dalle pagine." Diane non aveva mai lavorato come sceneggiatrice e trovò questo insolito sistema così efficace da adottarlo anche in tutti gli adattamenti su cui le è capitato di lavorare negli anni successivi.
Il montatore del suono Gordon Stainforth ha raccontato come il dialogo tra Danny e Jack in camera da letto doveva inizialmente restare senza accompagnamento musicale. Seguendo una sua idea, lavorò tutta la notte per proporre un cambiamento a Kubrick. La mattina seguente Kubrick lo incontrò agli studi: "Mi disse, 'Non hai una bella cera, cosa hai fatto?' Gli spiegai che avevo lavorato tutta la notte per fargli vedere una cosa. Lui mi interruppe subito, 'Non può esserci musica lì, non funzionerà mai.' 'Stanley, ti prego, ci ho lavorato tutta la notte, voglio solo che la guardi e poi mi dici.' Quando la scena finì Stanley si voltò e mi guardò sorridendo." Stainforth passò poi a montare il documentario di Vivian: il materiale era tantissimo, poiché Vivian aveva girato per tutti i giorni di riprese, e non fu facile scartare scene per arrivare alla durata prevista. "Stanley poi ce ne fece togliere altre due per inserire ulteriori clip da Shining, perché il documentario doveva pur sempre servire come promozione per il film sulla BBC." Interpretando il sentire di molti in platea, Lee Unkrich ha candidamente dichiarato che sarebbe pronto a uccidere pur di vedere tutto il girato.
Garrett Brown, con accanto un modello di Steadicam dell'epoca riesumato per l'occasione, ha confessato che, pur non credendo nelle coincidenze cosmiche, non ha altro modo di definire l'incontro tra Kubrick e la sua invenzione. Quando Kubrick lo convocò agli Elstree Studios per una dimostrazione pratica dello strumento, capì che il regista aveva già deciso lo stile da dare al suo film e stava disperatamente cercando un sistema per ottenerlo. Se la Steadicam non avesse funzionato, Kubrick aveva preparato un piano B che a posteriori non può non risultare bizzarro: una Citroen 2CV, spogliata di tutto tranne che dello chassis e degli ammortizzatori, su cui montare la macchina da presa. "Se la Steadicam non l'avesse convinto, la sua idea era di trascinare la 2CV per i corridoi dell'hotel."
L'incontro si è concluso con un videomessaggio da parte di Danny Lloyd<: "Mi dispiace molto di non essere presente a questa riunione," ha detto Danny, oggi uno stempiato quarantenne che vive in un ranch in Kentucky con quattro bambini. "Come saprete conduco una vita molto riservata e non do molte interviste, ma non perché non abbia amato girare il film con Kubrick. Voglio rettificare quanto si dice in giro: per me è stata un'esperienza meravigliosa, come stare in famiglia." Danny ha poi chiesto a uno dei suoi figli di salutare il pubblico: il bambino è corso via, la videocamera ha stentato a seguirlo e l'ha ritrovato in sella a un triciclo col quale se ne è andato pedalando verso la cucina.
A fine proiezione, tutti gli invitati sono saliti sul palco per ricevere gli applausi. Il pubblico si è trattenuto a lungo, facendosi autografare libri, poster e DVD. Le più ricercate, naturalmente, sono state Luisa e Lisa Burns, le due interpreti delle gemelle Grady. Impossibile non farsi una foto con loro.
Emilio era raggiante, felicissimo di incontrare i vecchi amici di un tempo, dopo 35 anni. Mi ha molto colpito accorgermi che Diane Johnson posava sempre una mano sulla sua spalla ogni volta che le capitava di passargli accanto: in fondo, pensavo, si sono conosciuti solo per qualche mese.
Lee Unkrich mi ha fatto vedere sul suo iPad alcune delle foto che sta raccogliendo per il suo libro: sono letteralmente migliaia; circa 800 gli sono state date da Danny Lloyd. Tra di queste, una fantastica foto a colori di Emilio coi baffi, di fronte al gatto delle nevi rosso che si vede nella rimessa in una delle scene iniziali. Se nessuno gli mette i bastoni tra le ruote, sarà un gran libro.
In attesa della proiezione, sullo schermo del bellissimo cinema Odyssey di St. Albans sono state proiettate diverse fotografie dal set, molte delle quali non avevo mai visto, accompagnate da appropriate musiche anni '20.
Lee Unkrich, regista della Pixar e custode del Tumblr The Overlook Hotel che attualmente sta preparando un libro sulla lavorazione di Shining per la Kubrick Estate, ha moderato l'incontro facendo brevi domande agli ospiti invitati sul palco.
Jan Harlan ha detto che l'intero film è stato girato in studio, a meno di 10 km dal cinema dove ci trovavamo, e che le uniche riprese in location sono state quelle per gli esterni dell'hotel, girate da lui e Douglas Milsome di fronte al Timberline Lodge, in Oregon. "Non ha alcuna importanza se l'interno dell'albergo non corrisponde all'esterno," ha concluso, "è un film dell'orrore, non è necessario che tutto abbia un senso. Come diceva Stanley con una delle sue frasi a effetto, 'Non metterti mai a spiegare qualcosa che tu stesso non riesci a capire.'"
La scrittrice Diane Johnson ha raccontato che si trovava a Londra quando le fu detto di "aspettare la telefonata di uno sconosciuto." Per circa una settimana, lei e Kubrick si intrattennero in conversazioni telefoniche serali, "su tutti gli argomenti possibili tranne che i film." Infine, Kubrick la invitò a casa dove le disse che avrebbe voluto adattare il suo romanzo The Shadow Knows, ma che riteneva il compito troppo difficile e quindi scelse quello di Stephen King, Shining. "Ma chiamò comunque me come collaboratrice perché pensava che io fossi più facile di King." Per undici settimane Diane fu accompagnata da Emilio D'Alessandro ad Abbots Mead, dove la aspettava Kubrick: "Passavamo la giornata insieme, parlando di tutto, guardando film e mangiando cinese. Fu davvero fantastico."
Diane ha poi spiegato il metodo di lavoro sulla sceneggiatura: "Disse che avremmo lavorato separatamente, compilando ciascuno una lista di scene del romanzo che volevamo mettere nel film. Mi dette una copia del libro e un paio di forbici per tagliarle letteralmente dalle pagine." Diane non aveva mai lavorato come sceneggiatrice e trovò questo insolito sistema così efficace da adottarlo anche in tutti gli adattamenti su cui le è capitato di lavorare negli anni successivi.
Il montatore del suono Gordon Stainforth ha raccontato come il dialogo tra Danny e Jack in camera da letto doveva inizialmente restare senza accompagnamento musicale. Seguendo una sua idea, lavorò tutta la notte per proporre un cambiamento a Kubrick. La mattina seguente Kubrick lo incontrò agli studi: "Mi disse, 'Non hai una bella cera, cosa hai fatto?' Gli spiegai che avevo lavorato tutta la notte per fargli vedere una cosa. Lui mi interruppe subito, 'Non può esserci musica lì, non funzionerà mai.' 'Stanley, ti prego, ci ho lavorato tutta la notte, voglio solo che la guardi e poi mi dici.' Quando la scena finì Stanley si voltò e mi guardò sorridendo." Stainforth passò poi a montare il documentario di Vivian: il materiale era tantissimo, poiché Vivian aveva girato per tutti i giorni di riprese, e non fu facile scartare scene per arrivare alla durata prevista. "Stanley poi ce ne fece togliere altre due per inserire ulteriori clip da Shining, perché il documentario doveva pur sempre servire come promozione per il film sulla BBC." Interpretando il sentire di molti in platea, Lee Unkrich ha candidamente dichiarato che sarebbe pronto a uccidere pur di vedere tutto il girato.
Garrett Brown, con accanto un modello di Steadicam dell'epoca riesumato per l'occasione, ha confessato che, pur non credendo nelle coincidenze cosmiche, non ha altro modo di definire l'incontro tra Kubrick e la sua invenzione. Quando Kubrick lo convocò agli Elstree Studios per una dimostrazione pratica dello strumento, capì che il regista aveva già deciso lo stile da dare al suo film e stava disperatamente cercando un sistema per ottenerlo. Se la Steadicam non avesse funzionato, Kubrick aveva preparato un piano B che a posteriori non può non risultare bizzarro: una Citroen 2CV, spogliata di tutto tranne che dello chassis e degli ammortizzatori, su cui montare la macchina da presa. "Se la Steadicam non l'avesse convinto, la sua idea era di trascinare la 2CV per i corridoi dell'hotel."
L'incontro si è concluso con un videomessaggio da parte di Danny Lloyd<: "Mi dispiace molto di non essere presente a questa riunione," ha detto Danny, oggi uno stempiato quarantenne che vive in un ranch in Kentucky con quattro bambini. "Come saprete conduco una vita molto riservata e non do molte interviste, ma non perché non abbia amato girare il film con Kubrick. Voglio rettificare quanto si dice in giro: per me è stata un'esperienza meravigliosa, come stare in famiglia." Danny ha poi chiesto a uno dei suoi figli di salutare il pubblico: il bambino è corso via, la videocamera ha stentato a seguirlo e l'ha ritrovato in sella a un triciclo col quale se ne è andato pedalando verso la cucina.
A fine proiezione, tutti gli invitati sono saliti sul palco per ricevere gli applausi. Il pubblico si è trattenuto a lungo, facendosi autografare libri, poster e DVD. Le più ricercate, naturalmente, sono state Luisa e Lisa Burns, le due interpreti delle gemelle Grady. Impossibile non farsi una foto con loro.
Emilio era raggiante, felicissimo di incontrare i vecchi amici di un tempo, dopo 35 anni. Mi ha molto colpito accorgermi che Diane Johnson posava sempre una mano sulla sua spalla ogni volta che le capitava di passargli accanto: in fondo, pensavo, si sono conosciuti solo per qualche mese.
Lee Unkrich mi ha fatto vedere sul suo iPad alcune delle foto che sta raccogliendo per il suo libro: sono letteralmente migliaia; circa 800 gli sono state date da Danny Lloyd. Tra di queste, una fantastica foto a colori di Emilio coi baffi, di fronte al gatto delle nevi rosso che si vede nella rimessa in una delle scene iniziali. Se nessuno gli mette i bastoni tra le ruote, sarà un gran libro.
30 aprile 2015
Kubrick e i Beatles: mistero risolto
Qualche anno fa avevo scritto un post sulla connessione tra Kubrick e i Beatles, incuriosito da una serie di articoli letti online. La leggenda voleva che parte del girato non utilizzato per il viaggio tra le stelle di 2001: Odissea nello Spazio fosse finito come sfondo per un brano strumentale nel film dei Beatles, Magical Mystery Tour.
A me e a Simone Odino questa storia era sempre sembrata alquanto bizzarra, e non eravamo mai riusciti a far quadrare le fonti. In particolare, Andrew Birkin, che aveva lavorato tanto con Kubrick su 2001 che coi Beatles al loro film musicale e che quindi era il principale sospettato, aveva in realtà negato fermamente questa ipotesi con una prova inconfutabile: il girato per Kubrick era in 65mm mentre tutto il film dei Beatles era stato realizzato in modo piuttosto amatoriale, in 16mm.
I Beatles erano rispuntati qualche tempo fa mentre rileggevo il resoconto di Jon Ronson all'interno degli Archivi Kubrick prima che venissero ceduti all'Università delle Arti di Londra. Ronson aveva trovato una lettera di Kubrick in cui esprimeva disappunto per l'idea che i Beatles usassero in un loro film parte del girato non usato di Dr. Stranamore: "Il film dei Beatles sarà visto dappertutto," scriveva Kubrick, "e farà sembrare che il girato di Stranamore come filmato di repertorio. Penso che questo danneggi il mio film."
E in effetti a riguardare la clip del Magical Mystery Tour parrebbe proprio il girato di Stranamore: nuvole bianche e spumose come nella scena iniziale del film e carrellate laterali rapide su terreni ghiacciati come nella corsa del B52 verso la base russa.
Sono immagini molto diverse, non solo per il procedimento fotografico utilizzato, da quelle del viaggio interstellare di 2001 girato tutto con prospettiva centrale nella Monument Valley.
Simone ha trovato un articolo che pare confermare questa nuova attribuzione. Denis O'Dell, collaboratore della band e nel 1967 fresco direttore del braccio cinematografico della Apple, la società dei Beatles, aveva lavorato con Kubrick proprio su Stranamore e si era ricordato di questo girato, che giaceva ancora agli Shepperton Studios.
Una scheda del catalogo online del Kubrick Archive descrive infatti una serie di documenti che hanno a che fare con questa storia e aggiunge che parte della controversia era derivata dalla "Shepperton Library che vende il girato non usato dalle produzioni come filmati di repertorio."
Direi quindi che, se anche non conosciamo come la contesa legale andò a finire, a giudicare dalle immagini usate dai Beatles è molto probabile che sia stato trovata una qualche forma di accordo. Insomma, io punto i miei 2 cent sul sì, sono immagini scartate dal Dr. Stranamore.
Il girato di Kubrick era in bianco e nero, e sarà stato piuttosto facile aggiungervi le tinte pastello che vediamo nel Magical Mystery Tour. Direi anzi che sono state proprio queste tinte a far sbagliare il bersaglio kubrickiano, indicando 2001 come fonte originaria, film peraltro molto più popolare di Stranamore, cosa che avrà aiutato a far nascere la leggenda metropolitana.
Per chiudere coi Beatles, l'articolo summenzionato conferma anche la connessione tra Kubrick e Il Signore degli Anelli: era stato sempre Denis O'Dell a contattare Kubrick per proporgli la regia dell'adattamento con Paul McCartney come Frodo, Ringo Starr come Sam, George Harrison nei panni di Gandalf e John Lennon nella parte di Gollum. Kubrick era già impegnato su 2001 e rifiutò.
A me e a Simone Odino questa storia era sempre sembrata alquanto bizzarra, e non eravamo mai riusciti a far quadrare le fonti. In particolare, Andrew Birkin, che aveva lavorato tanto con Kubrick su 2001 che coi Beatles al loro film musicale e che quindi era il principale sospettato, aveva in realtà negato fermamente questa ipotesi con una prova inconfutabile: il girato per Kubrick era in 65mm mentre tutto il film dei Beatles era stato realizzato in modo piuttosto amatoriale, in 16mm.
I Beatles erano rispuntati qualche tempo fa mentre rileggevo il resoconto di Jon Ronson all'interno degli Archivi Kubrick prima che venissero ceduti all'Università delle Arti di Londra. Ronson aveva trovato una lettera di Kubrick in cui esprimeva disappunto per l'idea che i Beatles usassero in un loro film parte del girato non usato di Dr. Stranamore: "Il film dei Beatles sarà visto dappertutto," scriveva Kubrick, "e farà sembrare che il girato di Stranamore come filmato di repertorio. Penso che questo danneggi il mio film."
E in effetti a riguardare la clip del Magical Mystery Tour parrebbe proprio il girato di Stranamore: nuvole bianche e spumose come nella scena iniziale del film e carrellate laterali rapide su terreni ghiacciati come nella corsa del B52 verso la base russa.
Sono immagini molto diverse, non solo per il procedimento fotografico utilizzato, da quelle del viaggio interstellare di 2001 girato tutto con prospettiva centrale nella Monument Valley.
Simone ha trovato un articolo che pare confermare questa nuova attribuzione. Denis O'Dell, collaboratore della band e nel 1967 fresco direttore del braccio cinematografico della Apple, la società dei Beatles, aveva lavorato con Kubrick proprio su Stranamore e si era ricordato di questo girato, che giaceva ancora agli Shepperton Studios.
Una scheda del catalogo online del Kubrick Archive descrive infatti una serie di documenti che hanno a che fare con questa storia e aggiunge che parte della controversia era derivata dalla "Shepperton Library che vende il girato non usato dalle produzioni come filmati di repertorio."
Direi quindi che, se anche non conosciamo come la contesa legale andò a finire, a giudicare dalle immagini usate dai Beatles è molto probabile che sia stato trovata una qualche forma di accordo. Insomma, io punto i miei 2 cent sul sì, sono immagini scartate dal Dr. Stranamore.
Il girato di Kubrick era in bianco e nero, e sarà stato piuttosto facile aggiungervi le tinte pastello che vediamo nel Magical Mystery Tour. Direi anzi che sono state proprio queste tinte a far sbagliare il bersaglio kubrickiano, indicando 2001 come fonte originaria, film peraltro molto più popolare di Stranamore, cosa che avrà aiutato a far nascere la leggenda metropolitana.
Per chiudere coi Beatles, l'articolo summenzionato conferma anche la connessione tra Kubrick e Il Signore degli Anelli: era stato sempre Denis O'Dell a contattare Kubrick per proporgli la regia dell'adattamento con Paul McCartney come Frodo, Ringo Starr come Sam, George Harrison nei panni di Gandalf e John Lennon nella parte di Gollum. Kubrick era già impegnato su 2001 e rifiutò.
Iscriviti a:
Post (Atom)