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28 luglio 2010

Intervista a Matthew Modine

Stasera a Firenze, in Piazza Strozzi, va in scena Full Metal Jacket, introdotto dall'attore principale, Matthew Modine. Per l'occasione "Jocker" firmerà le copie del suo Full Metal Jacket Diary, pagine del diario tenuto dall'attore durante le riprese corredate da un reportage fotografico dal set: bellissime fotografie in bianco e nero scattate con una vecchia Rolleiflex. "Cosa credi di fare con quel vecchio arnese merdoso?" - lo apostrofò Kubrick che di macchine fotografiche se ne intendeva.

Sul quotidiano La Stampa, l'intervista completa a Modine presenta alcuni degli aneddoti contenuti nel libro e ci regala la consueta immagine di Kubrick dipinta da quelli che con lui si sono trovati bene: un sarcastico, burbero burlone.
Mandai a Kubrick due scene dei miei ultimi film, Pazzo per te e Birdy - Le ali della libertà, che Alan Parker stava ancora montando. Fu lui a scegliere lo spezzone da mostrare a Stanley. Era una discussione furibonda con Nicolas Cage che finiva con un taglio brusco e un'inquadratura su di me in ospedale, raggomitolato in un angolo. Parker era convinto [che questa scena mi avrebbe fruttato il ruolo]. Andai a trovarlo e la prima cosa che mi disse fu: "Quello stronzo di Kubrick ha trovato il suo protagonista per merito mio e non mi ha neppure ringraziato." Andai a trovare Stanley e la prima cosa che mi disse fu: "Quello stronzo di Parker mi ha mandato dieci minuti di te che urli e strepiti come un'oca strangolata. Stavo per buttar tutto nel cesso quando per miracolo ho visto quei dieci secondi finali, dove te ne stai immobile. Li ho riguardati almeno cento volte." [...]

Quando abbiamo cominciato mi ha invitato nel suo Winnebago (un grosso camper, ndr). Stava facendo un caffè. "Stabiliamo una regola - propose: se un mio suggerimento non ti piace, tu non dire che è stupido, se no io m'incazzo e ci mettiamo a litigare. Ok?" Ok, gli rispondo. "Bene, adesso dimmi: che ne pensi della fine del film?" Secondo la sceneggiatura iniziale, al momento ancora valida, alla fine il mio personaggio moriva. È giusto così, gli risposi, è un film di guerra, deve far piangere..." Lui zitto. Passano settimane. Di tanto in tanto mi invita a prendere un caffè: "Ti va sempre bene il finale?" E io: sì, certo. Un giorno viene da me il suo assistente, Lion Vitali: "Stanley ti vuole vedere." Mi aspettava nel suo Winnebago, con tre attori. Io fumo di gelosia, finora ero l'unico ammesso lì dentro. "Matthew - dice Stanley - tu pensi che il finale del film vada bene. Ognuno di questi tuoi colleghi, invece, suggerisce un finale diverso." Ascoltai il primo e il secondo: demenziali. Il terzo non lo sentii neppure. Ero fuori di me. "Che ne pensi?" chiede Stanley. Sai che c'è, gli dico, puoi girare tutti e tre questi finali, e quando poi li gireremo di nuovo, e di nuovo, e di nuovo come tutto il resto di questo film del cavolo, allora ti renderai conto di quanto siano stupidi... L'avevo detto! Avevo infranto la regola. Stanley mi guardava furioso. Cominciò a chiamarmi sempre "povero stronzo." Dopo qualche settimana, eccolo di nuovo: "Hai pensato alla fine del film, povero stronzo?" Io non ci avevo più pensato, ma ero così imbestialito che quasi lo azzannai. Col cavolo che ci lascia le penne, mi sentii dire. Torna a casa sano e salvo invece. Ha visto morire ammazzati tutti quanti... Ha sentito una ragazza implorarlo di finirla e le ha sparato. Ma lui no, lui se la cava. Torna a casa a ricordarsi tutti quei morti, per il resto della sua vita. È questo il vero orrore della guerra! Stanley mi guardò e finalmente parlò: "Sì, è così. È così."
Non manca neppure la consueta rivelazione poetica sul film, questa volta Full Metal Jacket: "È un film sulla guerra. Potrebbe essere un film sull'Iraq o sull'Afghanistan. Voglio dire, il concetto che lo ispira sarebbe lo stesso se Stanley fosse vivo e girasse un film sulle guerre attuali. Abbiamo parlato molto, della guerra, durante le riprese. 'Il problema - diceva Stanley - è essere capaci di guardarla. Di guardare le crudeltà che commettiamo. È questo l'impegno, lo sforzo, il senso di un racconto sulla guerra.'" Sempre capace di definire i suoi film meglio di qualsiasi critico, il nostro Stanley.

Modine: Le mie fotografie che stregarono Kubrick, Maria Giulia Minetti, La Stampa 28.07.2010

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