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29 gennaio 2010

Napoleon: recensione finale

Eccoci arrivati al commento e al giudizio conclusivo sullo Stanley Kubrick's Napoleon, l'enorme volume pubblicato dalla Taschen a fine 2009 in edizione limitata di 1000 esemplari numerati. Compito non facile, vuoi per la mole della pubblicazione (dieci libri), vuoi per la vastità dell'argomento (raccontare un progetto monstre a cui Kubrick ha pensato praticamente per tutta la vita senza mai abbandonarlo).

Queste premesse avrebbero potuto generare mille libri diversi e tocca oggi confrontarsi con l'unico libro che vedrà mai la luce, partorito dalla mente di Jan Harlan (produttore esecutivo degli ultimi film di Kubrick), Alison Castle (editor di cinema della Taschen, già autrice dello Stanley Kubrick Archives), e lo studio francese M/M (responsabili della veste estetica/organizzativa).

Tenterò di suddividere per argomento questa recensione finale, in modo da dare un giudizio il più possibile completo e limitare la parzialità che l'entusiasmo o la frustrazione possono causare.

Il materiale d'archivio
Era naturale gioire di fronte alla pubblicazione di un libro che attingesse agli archivi di Kubrick, cioè che rendesse pubblico il materiale di lavorazione, le ricerche, le idee, gli appunti del regista che testimoniano i suoi sforzi per mettere in moto la macchina produttiva e riuscire un giorno a portare nelle sale cinematografiche il suo Napoleon.

Un paio di visite al Kubrick Archive di Londra e la pubblicazione dei precedenti The Stanley Kubrick Archives della Taschen e il catalogo della mostra itinerante avevano reso evidente quanto splendida fosse l'opportunità di dare uno sguardo al laboratorio Kubrick. Non serve sottolineare ulteriormente la gioia di poter leggere, sfogliare e vedere quel che Kubrick stava preparando.

Il materiale è estremamente valido anche da un punto di vista pratico, perché permette di arricchire le (poche) informazioni di cui disponevamo sul progetto. Ad esempio, non avevo realizzato che il lavoro di Kubrick fosse iniziato già nel luglio 1967 e che alla seconda metà del 1968 il regista avesse prodotto una mole smisurata di appunti, bozze e studi, senza essersi preso nemmeno un attimo di respiro dopo il tour de force di 2001: Odissea nello Spazio.

Sono riuscito anche ad ampliare un po' la cronologia degli anni 1967-1974 grazie ai documenti inclusi nei dieci libri. Ad esempio, avevo sempre dato per scontato che Waterloo avesse compromesso il progetto per la MGM, invece era stata la United Artists a tirarsene fuori dopo il flop targato Bondarciuck-DeLaurentiis. Ugualmente, si scopre che la MGM aveva ricevuto solo il trattamento, mentre la sceneggiatura era stata inviata alla United Artists. Altra cosa divertente: il carteggio di Kubrick con lo storico Markham fa sembrare Arancia Meccanica un passatempo e un diversivo per distrarsi dall'intoppo con le due major – un film che mai avremmo definito un "Piano B".

L'accesso ai pensieri di Kubrick che questo libro consente è oggettivamente impagabile.

Selezione e organizzazione del materiale
Qui però finiscono i pregi e iniziano i difetti. Alison Castle, responsabile della selezione del materiale, non ha sufficiente competenza in materia per comprendere, tra le migliaia di documenti presenti nell'archivio, cosa sia utile a ricostruire il progetto e cosa sia marginale.

Per illustrare l'insipienza della sua selezione avevo portato come esempio la messa online dell'archivio iconografico accumulato da Kubrick: 17.000 fotografie che testimoniano solo la meticolosità del regista, non certo la direzione che il Napoleon doveva prendere. Anche solo mettere online le fotografie ai costumi sarebbe stata una scelta migliore, per non parlare di fotografare tutte le note a margine, tutti gli appunti, tutte le lettere di Kubrick: sono riprodotti solo pochissimi esemplari e qualche dozzina è stata trascritta nel libro Text. Incredibilmente, più il materiale è prezioso più la Castle lo ignora – e viceversa: un numero consistente di pagine vanno via per la riproduzione della corrispondenza relativa alla ferratura anti-gelo dei cavalli, argomento francamente inutile. Evidentemente le serviva un buon gancio per far abboccare il pubblico e in questo la Castle è maestra. Dovrebbe dirigere una rivista di gossip.

Per assurdo, sono più illuminanti le semplici testimonianze dei diversi personaggi coinvolti a vario titolo nel progetto che le loro biografie avevano raccolto negli anni passati: Jack Nicholson, Riccardo Aragno, Bob Gaffney, Anthony Burgess, ecc. Si impara di più sul Napoleon da loro che da questo librone.

Ancora peggio (se possibile), la Castle non è in grado di ordinare quel che ha selezionato né secondo un ordine di produzione cinematografica né seguendo un banale criterio cronologico (il rifugio di tutti i pavidi dell'organizzazione). Preferisce suddividere tematicamente – un libro alle foto delle location, un libro alle note scritte a mano, un libro alle lettere inviate ai collaboratori e così via – col risultato di sparpagliare tutto e impedire una vera comprensione del progetto.

Inoltre (ancora? Sì, ancora) lo sparpagliamento è anche difforme: perché alcune note di Kubrick e lettere ai collaboratori e dai collaboratori sono state trascritte e nascoste dentro il libro Text quando altre note e altre lettere, del tutto simili, sono state fotografate e messe dentro Notes e Correspondence? Ancora peggio quando la dislocazione fa perdere l'immediatezza della lavorazione sul film, come succede con una lettera di Kubrick a David Walker, designer dei costumi, per chiedergli di non disegnare le donne troppo grasse altrimenti non sarebbe riuscito a immaginarsi nessuna attrice dentro tali costumi: questa lettera si trova nella selezione di appunti trascritti dentro Text invece che nel libro con le foto ai costumi nonostante questo riporti comunque una serie di note scritte a mano da Kubrick. E anche: una bozza per il risparmio del budget sui costumi si trova nel libro Costumes nonostante faccia parte delle bozze del piano di produzione, tutte contenute in Production. Si potrebbe continuare.

Non ho capito se la Castle non abbia proprio pensato a come spiegare il progetto o se invece la sua idea di far chiarezza consista nei quattro o cinque ritagli di giornale che si trovano alla fine del libro Production e che testimoniano il passaggio del Napoleon dalla MGM alla United Artists. Per non parlare dell'altro madornale errore, quello di non considerare nulla post-1974 come se il Napoleon si fosse arenato lì quando invece Kubrick ha tentato più volte di proporlo alla Warner Bros. in varie forme, perfino come uno sceneggiato televisivo a puntate.

Insomma, lo Stanley Kubrick's Napoleon, lungi dall'essere "the greatest book ever made about the greatest movie never made" (quanta tracotanza) è uno sforzo sulla carta titanico ma in concreto sbrigativo e raffazzonato per indagare un progetto che resta dunque inconoscibile.

Quello che manca a questo libro è una guida consapevole – una regia se vogliamo: buttarci addosso 2000 pagine di roba non ci ha minimamente aiutato. Tanto valeva comprarsi un biglietto per Londra e passare una settimana al Kubrick Archive – costava pure meno.

Estetica
La scelta dei designer francesi (facciamo i nomi: Mathias Augustyniak) di suddividere il materiale in dieci libri diversi e rinchiuderli in un massiccio fac-simile del Napoléon di Raymond Guyot pubblicato a Parigi nel 1921 è la causa principe dei problemi di questo libro. Si tratta di un espediente a effetto, che rende l'operazione un ottimo prodotto acchiappa-media in grado di produrre (e l'abbiamo visto) articoli su articoli. E' la trasformazione del libro in gadget, che manda in tilt il meccanismo promozionale garantendo visibilità ma che al contempo ostacola la fruizione e soprattutto contraddice la missione e la ragion d'essere di ogni libro: essere letto, compreso, ponderato, utilizzato per ricerca, sfogliato per piacere, tenuto in mano. E' impossibile fare tutto ciò con questo Napoleon.

Non sono poi riuscito a comprendere (e mi ci sono sforzato) perché i dieci libri siano tutti differenti per qualità della carta, rilegatura, copertina, font del testo. Vale anche per i libri di uguali dimensioni come Text e Production, il primo rilegato in brossura con copertina rigida di stoffa, il secondo a caldo con copertina morbida di cartoncino. A guardare tutti i dieci libri insieme pare di osservare un campionario di rilegature di una copisteria.

Parlando delle scelte di impaginazione, se ha un senso aver fatto fotografie anche al retro delle pagine dei raccoglitori ad anelli per dare l'impressione di sfogliare il vero materiale d'archivio, molto meno senso ha aver ripetuto questa pratica per i fogli dattiloscritti, sul cui retro non c'è scritto niente e che erano conservati sciolti: metà pagine sprecate per vedere cosa? Il pennarello di Kubrick che si legge in trasparenza al contrario?

Prezzo
OK l'edizione limitata, OK l'accesso al materiale, OK tutto quanto, e prescindiamo anche dalle valutazioni di gusto – che se non fossero troppo personali classificherebbero il libro come una tozza pacchianeria da buzzurri – ma 500 Euro erano e restano un prezzo di per sé esorbitante, e assurdo se contestualizzato: un libro made in China con tre libretti spillati come le dispense universitarie.

Conclusione
I meriti del libro derivano tutti dal materiale e quindi logica vuole che qualsiasi libro avesse attinto dal Kubrick Archive avrebbe avuto lo stesso merito. L'apporto della Castle e dei designer della M/M ha operato esclusivamente al ribasso.

Considerati i soldi che mi hanno fatto spendere, il numero di pagine non sfruttate, la disorganizzazione e soprattutto la cura, la passione e il tempo spesi strenuamente da Kubrick per forgiare il suo più grande film, qui sostanzialmente non valorizzati, avverto una netta sensazione di doloroso e incommensurabile spreco.

Le altre recensioni:
  • Impressioni iniziali: spacchettando i libri.
  • Prima parte: i tre libri più piccoli.
  • Seconda parte: sei saggi del libro Text.
  • Terza parte: i dialoghi tra Kubrick e Markham.
  • Quarta parte: corrispondenza, appunti e cronologia.
  • Quinta parte: iconografia e piano di produzione.
  • Sesta parte: il trattamento del 1968.
  • Settima parte: lo script del 1969.
  • Ottava parte: ultimi due saggi di Text.
  • Barry Lyndon in Blu-ray

    Personalmente non ho (ancora) un lettore Blu-ray e non sono passato attraverso la sofferta scelta di chi si chiede se ricomprarsi tutti i propri film nel nuovo formato, tuttavia so che molti aspettano con ansia l'edizione in alta definizione di Barry Lyndon.

    Per tutti voi, ecco una notizia pubblicata sul sito The Auteurs che spiega il perché il capolavoro kubrickiano non sia ancora stato distribuito nel nuovo formato.
    Some news from a friend of mine who works for Turner: "The only reason Barry Lyndon hasn't yet made it to Warner Home Video dvd & Blu-ray is that the elements need re-mastering for the format; because of the way the film was shot, w/its ultra-sensitive lenses & low light levels, the film poses a real challenge to master for hi-def. Trust me, it'll eventually come out; it's just a matter of time. Warner Bros. doesn't license disc rights to the films they own to outside companies like Criterion; they feel they can do the job fine themselves, so sit tight."
    La notizia è di cinque mesi fa quindi coraggio, l'attesa potrebbe volgere al termine.

    24 gennaio 2010

    Napoleon: recensione parte 8

    Penultima recensione dello Stanley Kubrick's Napoleon prima del commento conclusivo sull'intera operazione: qui offro un resoconto degli ultimi due saggi del libro Text, seguiti da un parere d'insieme su questo volume.

    In A historian's critique of the screenplay la sceneggiatura – del cui valore cinematografico ho scritto nella precedente puntata – viene esaminata da un punto di vista storico da Geoffrey Ellis, che già aveva introdotto e annotato le conversazioni con lo storico Felix Markham e il trattamento di Kubrick.

    Analizzando quali episodi della vita di Napoleone Kubrick ha scelto di rappresentare e quali invece ha ignorato riassumendoli con la voce narrante, Ellis ritiene che l'interesse principale di Kubrick risiedesse "nel Napoleone-il-guerriero, con le sue motivazioni psicologiche e il suo senso strategico da conquistatore militare, piuttosto che nel Napoleone-il-politico o Napoleone-il-legislatore, nonostante il suo monumentale lascito politico per la Francia e l'Europa." Ha indubbiamente ragione: anche se Kubrick aveva parlato apertamente di quanto il mondo moderno per come lo conosciamo sia stato plasmato da Napoleone, questa ampiezza di prospettiva non traspare dalla sceneggiatura.

    Esaminando la giustapposizione degli episodi pubblici e privati, Ellis è in grado di cogliere e restituire perfettamente l'intento di Kubrick di illustrare la psicologia di Napoleone, la sua forza e le sue debolezze, nelle varie fasi della sua vita (e della sceneggiatura). Con uguale intuito, ci spiega come gli alti e bassi della relazione tra Napoleone e Josephine servano in chiave drammatica come motivazioni delle azioni delle scene successive.

    Ellis si spinge perfino a citare i tre archetipi della donna in voga dal 18° secolo in poi – la vergine pura e irraggiungibile, la donna dannata spesso prostituta dal cuore d'oro, e la moglie di solito interessante solo in contesto d'adulterio – per rintracciare come Kubrick li investa nelle figure femminili che di volta in volta affiancano Napoleone e come questo serva per esplorare la sua sessualità e emotività.

    Potrebbe tranquillamente fare il critico cinematografico, questo Ellis – e con gran beneficio di tutti. Non è privo neppure di competenza visiva: ad esempio, fa notare come Kubrick si sia mantenuto ben lontano dall'iconografia classica del Napoleone-piccolo-caporale con il cappello a punte e la mano nel panciotto. Il che non ci sorprende affatto.

    Quel che invece mi sorprende è come Ellis non rinunci a criticare apertamente alcune scelte di Kubrick, evidenziando difetti e occasioni mancate. Ne avevamo abbastanza di critici senza spina dorsale, anche in questo enorme Napoleon, e ben venga uno scrittore così onesto e obiettivo.

    L'immagine conclusiva di Napoleone che si ottiene leggendo la sceneggiatura è, secondo Ellis, "piuttosto pervicacemente non ideologica, non sentimentale, non romantica, anzi così tanto da risultare di un realismo crudo e perfino brutale." Senza crasse sottolineature, ecco che ha fornito una definizione niente male dell'intero cinema di Kubrick.

    Con soli due saggi, Ellis è entrato nel novero dei miei scrittori preferiti su Kubrick, nonostante apparentemente ne debba sapere ben poco; eppure quel che sa gli è sufficiente per non dire mai una fesseria sui film del regista, che visti i tempi (i libri) che corrono non è affatto poco.

    Il successivo e ultimo saggio, Napoleon in film scritto da Jean Tulard, storico del cinema francese, analizza alcuni dei più famosi film con l'Empereur come soggetto, tra gli oltre mille realizzati dalla nascita del cinema ad oggi.

    Ovviamente uno scrittore francese non poteva che partire col Napoléon di Abel Gance, e dedicargli almeno un paio di pagine. Dopodiché Tulard va avanti sciorinando titoli di film, nomi di registi, nomi di attori, nomi di produttori. Non c'è altro per dieci intere pagine.

    Tra un film e l'altro, da francese qual è, Tulard non riesce a trattenere un commento caustico nei confronti di Markham, di cui credo in pochi possano mettere in discussione la competenza: "Inglese fino in fondo, non ha potuto far altro che dipingere un ritratto di Napoleone simile più alla moda di Oxford che della Sorbonne." Ma per favore.

    Francamente non ho capito cosa Tulard volesse dire con questo saggio. A meno che l'elenco di altri film non gli servisse per arrivare a questa brillantissima frase: "L'errore di Kubrick è stato forse quello di voler coprire l'intera vita di Napoleone, mentre altri registi si erano saggiamente limitati a solo un episodio o una battaglia." Complimenti, ottima analisi.

    Si salva solo quella frase, citata in tutte le recensioni del libro e purtroppo del tutto fuorviante rispetto al valore di questo saggio, in cui Tulard spiega come "leggendo la sceneggiatura è impossibile dire se Kubrick ammirasse Napoleone o lo disprezzasse." Ah beh, che sforzo titanico di critica cinematografica.

    Concludendo con l'intero libro Text sotto mano, a prescindere del valore difforme dei saggi e dei documenti in esso raccolti, salta agli occhi che 236 pagine su 500 vanno via per le traduzioni in francese e tedesco. Sembra che la Castle si sforzi di inventare sempre nuovi modi per sprecare esattamente la metà delle pagine a disposizione. Con lo Stanley Kubrick Archives c'era riuscita stampando i fotogrammi dei film, qui ci si impegna tra traduzioni, fotografie al retro dei biglietti, stampa solo sulle dispari, ecc. Brava e ancora brava.

    Le altre recensioni:
  • Impressioni iniziali: spacchettando i libri.
  • Prima parte: i tre libri più piccoli.
  • Seconda parte: sei saggi del libro Text.
  • Terza parte: i dialoghi tra Kubrick e Markham.
  • Quarta parte: corrispondenza, appunti e cronologia.
  • Quinta parte: iconografia e piano di produzione.
  • Sesta parte: il trattamento del 1968.
  • Settima parte: lo script del 1969.
  • Conclusione: recensione finale sull'intero libro.
  • 17 gennaio 2010

    Jim Thompson: una biografia selvaggia

    E' uscita alla fine di novembre 2009 la traduzione di Savage Art, biografia di Jim Thompson scritta nel 1995 da Robert Polito: Jim Thompson - Una biografia selvaggia, questo il titolo italiano, è stata pubblicata dalla Alet nella traduzione di Sebastiano Pezzani.

    Thompson, scrittore noir americano abile nella cinica caratterizzazione di personaggi sociopatici, è stato il co-sceneggiatore di Rapina a Mano Armata con Kubrick e di Orizzonti di Gloria con Kubrick e Calder Willingham, altro scrittore e sceneggiatore di successo.

    Trenta pagine delle 640 della biografia sono dedicate al rapporto tra Thompson e la Harris-Kubrick Pictures, la società cinematografica che il regista aveva formato con l'amico James B. Harris per produrre film in maniera indipendente.

    Chiamato per adattare il romanzo Clean Break di Lionel White, trasformato con Kubrick in Rapina a Mano Armata, Thompson – definito da Kubrick "Uno scrittore formidabile che ha scritto cose che adoro" – si trovò coinvolto in una serie di altri progetti, alcuni realizzati, come Orizzonti di Gloria, e altri solo avviati come il thriller Lunatic at Large, arenatosi alla fase di trattamento di una settantina di pagine, e I Stole $ 16,000,000, adattamento della autobiografia del "re degli scassinatori" Herbert Emerson Wilson accantonato dopo due stesure per le troppe somiglianze con Rapina a Mano Armata.

    Ci sono alcuni aneddoti gustosi in queste trenta pagine e il lavoro di ricerca di Polito contribuisce a fare non poca chiarezza nelle vicende della Harris-Kubrick degli anni 1955-1960. Le interviste a Harris, ad Alexander Singer, ai familiari di Thompson e allo scrittore "avversario" Willingham, portano perfino a un paio di informazioni inedite.

    Si scopre ad esempio dalla voce di James Harris che il motivo per cui il progetto su Bruciante Segreto di Stephan Zweig venne abbandonato dalla MGM non fu il cambio dei vertici dell'azienda:
    La MGM ci licenziò perché avevamo ingaggiato Jim Thompson. Avevamo un contratto in esclusiva per la realizzazione di Bruciante Segreto e loro decisero di impuntarsi. La MGM scoprì che stavamo lavorando anche a Orizzonti di Gloria e annullò il progetto. Bruciante Segreto andò in malora e così potemmo concentrarci unicamente su Orizzonti di Gloria insieme a Jim.
    Molto divertenti risultano le controversie sull'attribuzione dei crediti di sceneggiatore, sia per Rapina a Mano Armata che per Orizzonti di Gloria: ascoltando le testimonianze della moglie di Thompson e riportando una piccatissima lettera di Calder Willingham, Polito tratteggia un ritratto di Kubrick non esattamente generoso: il regista, sempre pronto a circondarsi di collaboratori eccellenti per succhiare da loro le migliori idee, non era altrettanto propenso a condividere con loro la gloria del prodotto finito. Non saranno le ultime due volte in cui Kubrick verrà chiamato in giudizio dal sindacato degli sceneggiatori americani.

    La suddetta lettera di Willingham è anche fonte di un'interessante rivelazione sul finale di Orizzonti di Gloria.
    Anni fa, Stanley Kubrick quasi si rifiutò di leggere il mio promemoria sulla scena finale di Orizzonti di Gloria, in cui sostenevo che la brutalità assoluta del finale del film con l'esecuzione dei soldati sarebbe risultata insopportabile al pubblico e avrebbe inoltre rappresentato una presa di posizione filosoficamente sterile (e questo era il suo intento), tanto che la scena che io avevo concepito (in cui la ragazza tedesca canta in modo dilettantistico e patetico Der Treuer Hussar e fa commuovere i soldati francesi, spingendoli a cantare con lei e a versare lacrime) era essenziale se si voleva che la storia, o la verità sulla natura umana, risultasse tollerabile. Stanley disse: "Non riesco ad oppormi alle tue argomentazioni quando le metti per iscritto, i miei circuiti vanno in sovraccarico e mi salta un fusibile e non posso fare a meno di dichiararmi d'accordo con tutto quello che dici, come fossi ipnotizzato." A cantare fu la ragazza tedesca che in seguito avrebbe sposato, e con lei cantarono delle comparse tedesche in uniformi francesi della Grande Guerra e piansero – in cambio di una magra paga – lacrime di comprensione per la tragedia della vita umana, e grazie a quel momento il film svettò al di sopra di qualunque altra cosa Kubrick abbia realizzato.
    James Harris aveva al contrario dichiarato che l'idea del finale con la ragazza tedesca era venuta a Kubrick dopo aver conosciuto Christiane Harlan ed essersene innamorato.

    A minare la certezza dell'aneddoto di Willingham contribuisce tuttavia la sua manifesta intenzione di attribuirsi più meriti del dovuto, annullando quelli di Kubrick ("Stanley scrisse letteralmente due frasi di quella sceneggiatura") e di Thompson ("non scrisse una sola parola di dialoghi che appaiono nel film"); le bozze di sceneggiature rintracciate da Polito negli archivi di Jim Thompson provano inequivocabilmente l'essenziale contributo di quest'ultimo alle scene e ai dialoghi. A chi credere, dunque? Il fatto che Polito faccia notare come la scena della ragazza in lacrime appaia per la prima volta in un manoscritto di Willingham non è sufficiente a chiudere la questione: potrebbe essere stata scritta su suggerimento di Kubrick.

    Lo studio dei materiali cartacei nell'archivio di Thompson fornisce a Polito altre notevoli chicche, come un finale alternativo di Rapina a Mano Armata in cui Johnny Clay (Sterling Hayden) "muore per cercare di recuperare i soldi, venendo risucchiato dal propulsore di un aereo in fase di rullaggio" o una descrizione particolareggiata del famoso finale buonista di Orizzonti di Gloria che aveva fatto infuriare Kirk Douglas. Polito rivela anche come fu organizzato il lavoro per adattare I Stole $ 16,000,000, con un primo ingaggio a Lionel White, autore di Clean Break, che produsse un trattamento e una scaletta, una riscrittura di Kubrick in forma di sceneggiatura nel 1959 e una sceneggiatura di 135 pagine per le riprese scritta interamente da Thompson.

    Trenta pagine utili alle ricerche kubrickiane e spesso godibili che, se non giustificano da sole la lettura dell'intera biografia, invitano almeno a fare un salto in biblioteca per prenderla in prestito. A dare una notevole soddisfazione basterebbe la sola lettera di Willingham: due pagine così meravigliosamente scritte che comprovano la prostrazione confessata da Kubrick.
    L'interpretazione [di Orizzonti di Gloria], ovviamente, era quella di Kubrick, e io la trovai spesso antagonistica o contraddittoria rispetto all'intento della mia sceneggiatura, ma su questo potei fare poco, se non, con disappunto, far notare a Stanley i suoi difetti, che nel complesso erano una conseguenza della sua indifferenza e della sua freddezza quasi psicotiche nei confronti degli esseri umani della storia; difetti che, mi sento di aggiungere, hanno limitato l'opera di Kubrick per tutta la sua carriera; non gli piacciono particolarmente le persone, gli interessano soprattutto quando sono protagoniste di cose indicibilmente orribili oppure quando la loro idiozia è talmente malevola da farle risultare orribilmente buffe. Stanley Kubrick, con il quale da anni mantengo un rapporto personale amichevole ma distaccato, è un curioso caso contemporaneo di artista-psicopatico. Non intendo definire Stanley uno psicopatico, si badi bene, o qualcosa del genere; sono le sue preoccupazioni estetiche e artistiche a risultare psicotiche. [...] Si tratta di un grave limite, come ho scoperto per esperienza personale. [...] Non mi sono mai preoccupato di rivelare l'infondatezza delle asserzioni di Kubrick riguardo a quella pellicola, anche se un esperto cinefilo può risalire a tale infondatezza alla luce dell'incapacità di Kubrick di realizzare un altro film di quel livello. Per quanto Orizzonti di Gloria fosse un ottimo film, se si elimina una sapiente direzione della fotografia, fu un ottimo film grazie all'ispirazione e agli sforzi del
                                                  suo
                                                  Calder Willingham
    Ho i circuiti in sovraccarico, quasi quasi convince anche me.

    15 gennaio 2010

    Jan Harlan ancora sul Napoleon

    In attesa delle ultime due puntate della maxi recensione dello Stanley Kubrick's Napoleon, vi segnalo un interessante articolo dell'Independent con alcune dichiarazioni di Jan Harlan, Christiane Kubrick e Alison Castle.

    Scopriamo così l'inizio della collaborazione di Harlan con il cognato regista, proprio a causa del film sull'imperatore corso.
    "It was very tough to find out [Napoleon] wasn't going ahead. Stanley was extremely unhappy. I'd thought I'd go back to Zurich, where I come from originally, but then my wife and I fell in love with England. She wanted to stay here and Stanley liked me and I liked him. So we all settled here, and threw ourselves into our work."
    Poco dopo Harlan descrive Kubrick come lo studente modello in qualsiasi disciplina e quella [xxx] di Alison Castle si vanta di quanto abbia avuto carta bianca sul progetto.

    In finale, Harlan confida nuovamente di aver tentato di resuscitare il Napoleon.
    "Ridley Scott knows that we have the material and we put it to Ang Lee. What was silly was I had Steven Spielberg and Ang Lee on a table and I tried to say, 'hey, this is something real,' instead of Hulk. But they went and did Hulk, so what can I do?"
    Smetterla, per esempio?

    Stanley Kubrick - A dream movie revisited, Rob Sharp , The Independent 15.01.2010

    01 gennaio 2010

    Napoleon: recensione parte 7

    La sceneggiatura del Napoleon prende un intero libro dei dieci incastonati nel libro-cassaforte in modo che sia riprodotta in fac-simile della copia personale di Kubrick conservata al Kubrick Archive di Londra.

    Dal punto di vista del contenuto, si tratta dello script che era stato diffuso inspiegabilmente su Internet nel 2000 (e fatto togliere da ArchivioKubrick nientemeno che dallo studio legale di Kubrick, caso unico in Italia – punto d'onore sul mio medagliere). L'unica differenza che ho rilevato con la copia ribattuta e messa online è un cartello iniziale con cui Kubrick si premura di far presente ai finanziatori che il film non verrebbe fuori così lungo come potrebbero pensare sfogliando le pagine: "Due to the large type face used for this script, there is an average of 41 lines to the page instead of the standard 52 lines. For any production timing purpose, it should be noted that the present total of 186 pages would be 148 pages in normal script format." Mi fa sempre ridere vedere Kubrick che tratta i dirigenti delle major come bambini.

    Lo script porta in copertina la data del 29 settembre 1969, ma la maggior parte delle pagine è datata 25 settembre. Contrariamente a quanto avevo sempre pensato, questa sceneggiatura non è stata consegnata alla MGM, che aveva chiuso il progetto nel gennaio 1969, ma alla United Artists, che aveva preso in carico la produzione qualche settimana dopo. A questa sceneggiatura Kubrick aveva comunque allegato le production notes scritte per la MGM nel novembre 1968 con l'analisi dei costi del progetto.

    Rispetto al trattamento del 1968, questa sceneggiatura ha perso il folgorante inizio in favore di una partenza meno epica, con Napoleone che ascolta una favola cullato dalla madre Letizia, stringendo un orsacchiotto di peluche. Le scene successive che seguono Napoleone lungo l'infanzia e l'adolescenza nella scuola militare – un ragazzo solitario, preso in giro dai compagni – suonano un po' goffe, segno che Kubrick non aveva ancora risolto il problema della partenza del film, anche qui ridotta a una serie di frettolose cartoline.

    Purtroppo la fretta prosegue anche in seguito: se il trattamento aveva il lusso di poter contare sul fraseggio per restituire sensazioni e ritmi, qui la logica della messinscena numerata e delle battute di dialogo obbliga Kubrick a un passo a tratti sbrigativo. Quasi tutta la passione che trapelava dalle pagine del trattamento sembra in effetti evaporata.

    Inoltre, le scene che Kubrick ha inventato per drammatizzare i concetti annotati nel trattamento non sono sempre ben pensate e rischiano di sembrare metafore un po' grossolane, come l'episodio del vecchietto russo incartapecorito che non soccombe ai colpi di baionetta francese nel contesto di una Mosca ridotta a una città fantasma.

    Considerando l'andamento dello script nel suo complesso si individuano ulteriori difetti. Nella prima parte il narratore funziona quasi sempre come mera descrizione di quello che la scena presenta: forse Kubrick stava inseguendo un effetto simile a quello ottenuto poi in Barry Lyndon con la voce narrante che anticipa, commenta e sottolinea solo quello che si vede in scena, causando un raffreddamento della storia?

    Più avanti la voce narrante sembra perfino arrancare dietro al passo spedito degli eventi, quando tenta di fornire raccordi tra le varie scene. Ancor meno efficacemente, le tocca dar conto dei punti decisivi della trama, arrivando ad esempio a spiegare l'esito di una battaglia quando le scene ne descrivono solo l'inizio e le mappe animate illustrano la strategia che muove gli eserciti.

    Le uniche scene veramente buone sono quelle relative alla Campagna di Russia: iniziando con l'intelligente confronto tra lo Zar Alessandro e l'ambasciatore Coulaincourt per proseguire con i dialoghi tra lo Zar stesso e il suo Generale Kutusov e concludere con la descrizione della Grande Armée prigioniera delle steppe, in questa lunga macro-sequenza gli eventi sono tratteggiati con attenzione e i dialoghi risultano psicologicamente soddisfacenti. Ma è un unicum, e lo script torna subito a enumerare scene brevissime, che paiono ancora di raccordo invece che di sostanza. Riecco il narratore che si affretta a spiegare cosa succede.

    Anche a voler considerare la "teoria delle non-submersible units" che aveva fatto faville in 2001: Odissea nello Spazio (creare una storia da quattro o cinque momenti decisivi, lasciando allo spettatore il compito di collegarli), questa sceneggiatura ha il difetto di voler presentare troppi eventi in poco tempo, riducendo ciascuno di essi a un rapidissimo flash. Non siamo di fronte a qualche "unità non affondabile" ma a troppi micro-elementi che galleggiano uno addosso all'altro.

    A lungo andare, si ha la sempre più netta impressione che quel che si vedrebbe sullo schermo se si volesse girare questa sceneggiatura sarebbe solo un estratto di quel che servirebbe per ottenere un buon film. Se Jan Harlan riuscirà veramente a realizzare questo script mi auguro che il regista di turno, sia egli Steven Spielberg, Ridley Scott o Ang Lee, abbia quel tanto di giudizio che serve per evitare uno scempio – ossia tirarsene fuori o rifare tutto da capo. Ecco un caso in cui non invocherei affatto la fedeltà a Kubrick. Invoco piuttosto la rinuncia o, più realisticamente, la diserzione.

    Per chiudere con toni meno foschi, tra le connessioni simpatiche che nascono leggendo la sceneggiatura ci sono l'incontro tra Josephine e Napoleone al tavolo da gioco, ripreso e replicato in Barry Lyndon, una descrizione dell'orgia con una certa somiglianza con Eyes Wide Shut e soprattutto un discorso dell'Imperatore ai suoi commensali in cui si ritrovano, quasi parola per parola, le idee che Kubrick esprimerà di lì a due anni durante le interviste per Arancia Meccanica:
    The revolution failed because the foundation of its political philosophy was in error. Its central dogma was the transference of original sin from man to society. It had the rosy vision that by nature man is good, and that he is only corrupted by an incorrectly organized society. Destroy the offending social institutions, tinker with the machine a bit, and you have Utopia – presto! – natural man back in all his goodness. It's a very attractive idea but it simply isn't true. They had the whole thing backwards. Society is corrupt because man is corrupt – because he is weak, selfish, hypocritical and greedy. And he is not made this way by society, he is born this way – you can see it even in the youngest children. It's no good trying to build a better society on false assumptions – authority's main job is to keep man from being at his worst and, thus, make life tolerable, for the greater number of people.
    Ecco per esempio cosa aveva detto Kubrick a Bernard Wienraub del New York Times: "Una delle fallacità più pericolose che ha influenzato molti ragionamenti politici e filosofici è che l'uomo sia essenzialmente buono e che sia la società a renderlo cattivo. Rousseau ha trasferito il peccato originale dall'uomo alla società e questa visione ha contribuito in modo rilevante a quella che io ritengo sia una premessa incorretta su cui basare una filosofia politica e morale." Sorprendente, no?

    Concludo con una recensione della sceneggiatura da parte del Guardian, del tutto condivisibile.

    Draft excluder: Napoleon - the greatest movie never made?, Phil Hoad, The Guardian, 09.12.2009

    Le altre recensioni:
  • Impressioni iniziali: spacchettando i libri.
  • Prima parte: i tre libri più piccoli.
  • Seconda parte: sei saggi del libro Text.
  • Terza parte: i dialoghi tra Kubrick e Markham.
  • Quarta parte: corrispondenza, appunti e cronologia.
  • Quinta parte: iconografia e piano di produzione.
  • Sesta parte: il trattamento del 1968.
  • Ottava parte: ultimi due saggi di Text.
  • Conclusione: recensione finale sull'intero libro.



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