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29 maggio 2020

I panini al formaggio di Jack Nicholson

Visto che la "notizia" è arrivata pure su Repubblica, peraltro a firma di un critico rispettabile e in una pagina che ricorda di abbonarsi per sostenere il giornalismo di qualità, non riesco a trattenermi e scrivo una sorta di puntata numero due delle mie lamentazioni contro i luoghi comuni kubrickiani (la prima era qui).

La storia di Kubrick che per tutta la lavorazione di Shining costringe Jack Nicholson a mangiare solo panini al formaggio, cibo che odia, per mantenerlo nello stato d’animo agitato necessario al ruolo, è – indovinate un po’ – una sonora cazzata.

Dico, ma davvero vi sembra una cosa plausibile? Con quasi un anno di riprese, sai il tasso di colesterolo del povero Jack! E Kubrick chi dovrebbe essere per mettere in pratica una roba del genere, un aguzzino?

Il tutto si presta a essere una storia edificante su come nascono le bufale. C'era una volta un utente che, presumo per divertimento o fare il burlone, scrisse una storiella buffa nella pagina Trivia di IMDb. Più assurda la storiella, più venne votata dagli utenti, più acquistò visibilità, più finì in quella galassia di siti spazzatura che hanno disperato bisogno di contenuto acchiappa-click e pubblicano pagine con "i 10 segreti di questo" o "le 10 cose che non sai ma devi assolutamente sapere di quest'altro". Le meraviglie dello user generated content.

Mi sono messo a cercare se almeno fosse vero che a Nicholson faccia schifo il formaggio; nulla di nulla, l'unica prova è sempre e solo quella pagina di IMDb (magari è scritto in una delle tante biografie di Nicholson che non sono ancora indicizzate su Google Books, io ne ho letta solo una, abbiate pazienza, ho anche una vita da vivere).

Certo, scrivere baggianate su Kubrick-il-matto è un gioco fin troppo facile, e si sa (ma davvero si sa?) che su internet l’informazione è quella che è, ma quando anche il primo quotidiano italiano cede alla moda delle "10 cose da sapere su..." (di cui 5 sono banalità e 5 cavolate), traduce robaccia da internet, non verifica le fonti né la veridicità di ciò che pubblica, dove siamo?

E spendo due parole anche sui titolisti, che spesso hanno più colpa dei giornalisti. C'era ieri su La Stampa un articolo di due pagine sul nuovo documentario Kubrick by Kubrick di Gregory Monro, in occasione della prima italiana al Biografilm Fest di Bologna. Il documentario si basa sui nastri registrati dal critico francese Michel Ciment durante le sue interviste con Kubrick, per Arancia Meccanica, Barry Lyndon e Shining: le registrazioni con la voce di Kubrick sono sempre piuttosto rare, per cui il documentario funziona proprio sul lasciare la parola a Kubrick che parla del suo lavoro da regista e dei temi esplorati dai suoi film. Come viene presentata questa notizia?


Il documentario non rivela il lato privato di Kubrick (quello è S is for Stanley, cough cough), Kubrick non vi fa mai menzione di voler difendere la sua privacy (ho già visto il film, posso confermare, vi ho anche lavorato come ricercatore e consulente) e Michel Ciment non è il biografo di Kubrick. Di più: il testo dell'articolo non menziona Salinger né la privacy, ma si concentra solo sugli attori, le riflessioni di Kubrick sulla guerra e la violenza, le riprese fatte con cura – d'altra parte è di questo che parla il film. "L'altro" Kubrick?

Ok, si sta parlando di cinema, spettacolo, costume (anche se non sono sinonimi, ricordarselo sempre) e non di cronaca, politica, economia, ma siete sicuri che la tendenza non esista nelle altre pagine? Io più leggo le "notizie" su Kubrick e più dubito fortemente che quella cosa che si chiamava giornalismo esista ancora.

2 commenti:

Almayer ha detto...

Altro che panini al formaggio: uno si agita a leggere questo genere di articoli! Ma come dici bene tu, non è questione di Kubrick o altro. Può valere per qualunque argomento o notizia, e lo vediamo bene in questo periodo di emergenza sanitaria, che è anche di emergenza informativa.
Una regola per restare sempre incazzati? Una volta al giorno, prima del pasto principale, leggere un qualunque articolo di qualunque giornalista di qualunque giornale su un argomento che conosciamo BENE. Risultato assicurato, effetti collaterali imprevedibili.
Qualunquista? Rilancio: per portare al limite la tua conclusione, si può dubitare tout court che sia mai esistito il giornalismo, almeno al di fuori del (un tantino idealizzato…) giornalismo anglosassone: se non conosco l'argomento, ottengo troppo spesso informazioni superficiali, inesatte, incomplete, senza contesto e infine false; se lo conosco, appunto, me ne accorgo e mi incazzo.
Riconosco che è senz'altro una posizione provocatoria e potenzialmente pericolosa, perché poi si finisce a parlare di libertà di stampa; ma non bisogna confonderla con la libertà di dire falsità o idiozie. Mi viene in mente Gaber quando dice ai giornalisti: avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate, e in cambio pretendete la libertà di scrivere. Il contesto a cui si riferiva era totalmente diverso, ma il principio è lo stesso.
(Ri-)guardiamoci Shining, va'!
Luca

Filippo Ulivieri ha detto...

Grazie del commento, Luca. Quello che scrivi è tristemente vero. La cosa che trovo proprio sconfortante è che un critico conosciuto voglia firmare col proprio nome e cognome articoli del genere. A dir tanto era un redazionale, e fatto male come ormai d'uso per molte redazioni delle versioni online dei quotidiani nazionali.

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