Blog

09 novembre 2012

Io NON sono Spartacus

Salon.com riporta un interessantissimo articolo pubblicato sul Los Angeles Reviews of Books, dal titolo "La storia revisionista di Kirk Douglas". L'articolo è una lunga, acuta e appassionata recensione del recente memoriale scritto dall'attore I Am Spartacus!: Making a Film, Breaking the Blacklist.

Il libro ripercorre la lunga lavorazione del film Spartacus con il malcelato scopo di attribuire a Douglas, che già ricopriva i ruoli di interprete principale e produttore esecutivo del film, molti più meriti di quelli che gli spetterebbero, trasformandolo da eroe della storia a eroe della Storia.

Uno sospetterebbe della poca modestia di Douglas fin dal roboante titolo che ha scelto per il suo libro, ma le rivelazioni dell'articolo hanno implicazioni molto più pesanti e ben oltre il pur gustoso gossip da showbiz.

Se infatti si concede con benevola indulgenza alle star ultranovantenni di ricordare il proprio glorioso passato abbellendolo di lustrini e magari anche di piegare giusto un pochino la realtà dei fatti per ridare luce al proprio mito ormai affievolito, quello che non è possibile accettare è un attore che, rimettendosi al centro del palcoscenico, modifica la storia macchiandosi di revisionismo.

Vi consiglio di leggere interamente l'articolo per le interessanti conseguenze politiche dei falsi ricordi di Douglas, smascherati da dichiarazioni di Edward Lewis, produttore del film, e dei familiari di Dulton Trumbo, sceneggiatore messo nella lista nera.

Qui, occupandoci di temi molto meno rilevanti, ci concentriamo sui passaggi relativi al ruolo di Stanley Kubrick, regista assunto da Douglas per dirigere Spartacus. Gli screzi tra i due sono ormai materia di leggenda e non nascondo il mio piacere nel vedere che, nuovamente e ormai non sorprendentemente, la mitologia kubrickiana crolla e dalle macerie il nostro ne esce sempre più pulito.

L'aneddoto base relativo a Spartacus è il tentativo di appropriazione indebita del credito da sceneggiatore da parte di uno spregiudicato giovane Kubrick: poiché sotto lista nera, Dalton Trumbo non poteva essere accreditato nei titoli del film; secondo Douglas, Kubrick offrì con nonchalance il proprio nome sul cartellone attribuendosi anche il merito di aver scritto la sceneggiatura; indignato da questo gesto e di fronte all'immobilismo di Lewis, Douglas avrebbe perso la pazienza e rivendicato il nome di Trumbo nel suo giusto ruolo, rompendo così la lista nera e facendo uscire Hollywood dal buio del Maccartismo. Una scenetta a cui è facile credere, se all'aura eroica di Douglas si aggiunge la canonica avarizia kubrickiana nel riconoscere i meriti altrui, peraltro alimentata dall'irruenza dei 30 anni.
Secondo Edward Lewis, l'incontro tra Douglas, Kubrick e Lewis non ha mai avuto luogo e Kubrick non ha mai suggerito di prendersi il ruolo di sceneggiatore del film. Lewis aveva inserito il proprio nome sul copione prima che la produzione iniziasse ma si era rifiutato di mantenerlo sul film distribuito. Lewis ha dichiarato che Dalton Trumbo aveva ripetutamente chiesto che il suo nome fosse chiaramente indicato nella lista dei crediti da sottoporre allo studio. Lewis acconsentì subito e alla fine anche Douglas accettò licenziando il documento con il nome di Trumbo; i due produttori lo passarono così ai capi dello studio.
Il ruolo di Douglas viene enormemente ridimensionato rispetto a quanto sostenuto nel suo memoriale (ad esempio, non fu lui a ingaggiare Trumbo o a scegliere personalmente Lawrence Olivier, Charles Laughton e Peter Ustinov, ma sempre Edward Lewis), ma il colpo di grazia agli orizzonti di gloria dell'attore viene dalla famosa e proverbiale scena "I am Spartacus!", ormai entrata nel linguaggio comune nel mondo anglosassone e oggetto di infinite parodie, nonché astutamente scelta come titolo del memoriale.

Douglas sostiene di aver inventato personalmente questa scena e di averla presentata in bozze a Stanley Kubrick, il quale si era addirittura rifiutato di girarla. Douglas racconta questa scena arricchendola di dettagli molto teatrali, come l'ormai famoso balletto a dorso di cavallo spingendo Kubrick sempre più in un angolo affinché, spaventato dal muso equino sbattutogli in faccia, capitolasse e accettasse la volontà dell'attore.
Secondo quanto dichiarano tanto la famiglia di Trumbo quanto il produttore Lewis, fu Dalton Trumbo a scrivere questa scena a seguito di una serie di suoi appunti, scritti dopo aver visto un primo montaggio del film. L'obiettivo di Trumbo era infatti sempre stato quello di sottolineare i personaggi e le relazioni conflittuali tra gli schiavi.
I Am Spartacus!: Making a Film, Breaking the Blacklist potrebbe gareggiare per il premio di titolo più falso di sempre: Douglas non ha scritto la scena eponima, non ha fatto il film (l'ha diretto Stanley Kubrick) e non ha neppure spezzato la lista nera perché a farlo erano stati anni prima la CBS e Stanley Kramer, senza contare Otto Preminger che con Exodus aveva strombazzato volutamente l'assunzione di Trumbo a tutti i media affinché si mettesse fine alla caccia alle streghe. Questi eventi precedono la lavorazione di Spartacus di due anni.

Douglas, conclude l'articolo, ha ricevuto onore e gloria nei recenti talk show a cui si è prestato, claudicante e fragilissimo, non solo per aver condotto una luminosa carriera nel mondo dei sogni hollywoodiano, incarnando splendidamente perfino il sogno americano del povero che si costruisce da solo, ma anche per aver contribuito al progresso democratico di una nazione. Il fascino nostalgico e la tenera benevolenza che si riservano alle vecchie star non dovrebbero foraggiare il revisionismo.

Ridiscendendo un gradino, aggiungiamo noi, la fama di un vecchio eroe di Hollywood non dovrebbe attribuire maggior valore di verità alle sue parole rispetto a quelle di uno sceneggiatore ormai morto, di un produttore che poco ama le luci della ribalta e di un regista che, fosse stato ancora in vita, difficilmente avrebbe reagito più che con una scrollata di spalle. Ma si sa come funzionano i media.


Kirk Douglas' revisionist history, Tom Benedek, Salon.com 09.11.2012

04 novembre 2012

Alexander Singer ricorda Day of the Fight

La rubrica di fotografia LightBox di Time Magazine presenta un bell'articolo sul passaggio dalla fotografia al cinema di Stanley Kubrick: a partire dalla serie di scatti dal titolo "Prizefighter" sul pugile professionista Walter Cartier pubblicata sulla rivista LOOK il 18 gennaio 1950, viene raccontata l'evoluzione di questo servizio fotografico nel primo cortometraggio diretto da Kubrick, Day of The Fight, anch'esso incentrato sulle gesta di Cartier.

Soprattutto, a corredo del testo c'è un notevolissimo documentarietto-intervista in cui Alexander Singer, uno degli amici più stretti di Kubrick durante l'adolescenza, ricorda le riprese di quel cortometraggio a cui partecipò come operatore e tuttofare. Davvero un ottimo contributo.

From Photography to Film: Stanley Kubrick Enters the Ring, Erica Fahr Campbell, TIME LightBox 01.11.2012
© 2001-2011 ArchivioKubrick