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06 ottobre 2010

L'allieva di Stanley Kubrick, e il nano

In occasione della scomparsa di Tony Curtis lo scorso 29 settembre, Vanity Fair pubblica un lungo articolo-ricordo scritto da Gwen Davis, scrittrice, sceneggiatrice e poetessa americana (a me prima di oggi completamente sconosciuta).

Pare che la Davis sia stata parte attiva nella movida Hollywodiana degli anni '50, dove aveva conosciuto, tra un Dennis Hopper e una Kim Novak, anche il nostro beneamato, che nell'articolo la Davis definisce "mio intimo amico e mentore." Ah, però.

Kubrick l'aveva chiamata a una proiezione di prova per Spartacus e poi l'aveva invitata a cena con Tony Curtis e l'allora sua moglie Janet Leigh. Il racconto ci offre una serie di aneddoti divertenti e sconosciuti, conditi come da copione da un paio di sapide e incredibili battute di Kubrick.
Quando Antonino e Spartacus iniziano la lotta all'ultimo sangue verso la fine del film, ciascuno tentando di uccidere l'altro per risparmiargli l'agonia della crocifissione, Stanley si allungò verso di me e mi sussurrò "Bernie Schwartz (il vero nome di Tony) and Isadore Demsky (il vero nome di Kirk). Chi non si commuoverebbe?"

Io di sicuro. Adorai il film, e adorai Stanley e Christiane e, a partire dal giorno dopo, avrei adorato Tony e Janet. Andammo tutti insieme a cena, tranne Stanley che stava montando il film, eliminando il personaggio del nano perché dalle proiezioni di prova tutto il pubblico aveva veramente odiato il nano. C'erano diverse carte-suggerimento che insistevano "Tagliate il nano!" "Togliete di mezzo il nano!" E così Stanley stava facendo giusto questo. "La gente ha paura dei nani, li mettono in imbarazzo," mi aveva detto giustificando la passionalità che mostravano le carte-suggerimento. "E' perché hanno degli enormi genitali." Che questa rivelazione fosse vera o no, la accettai come un dato di fatto perché era stata detta da Stanley e nessuno, credevo, era più intelligente di lui.
Una volta che Spartacus era approdato nelle sale, Kubrick si era rimesso subito al lavoro su Lolita. Il cambio repentino di film permette alla Davis di regalarci due notizie mai sentite prima.
Quando tornai a Hollywood in missione segreta – lavorare non accreditata alla sceneggiatura di Lolita, cosa che avevo accettato di fare solo per la mia devozione verso Stanley – vidi di nuovo Tony e Janet. Avevo sfacciatamente disobbedito al divieto di Stanley di non chiamare nessuno dei miei amici per far sapere loro che fossi a Los Angeles. (Era ben più di un piccolo paranoico e pensava che se i miei amici avessero saputo che ero in città avrebbero scoperto cosa ero venuta a fare.) Ma siccome avevo conosciuto Tony e Janet proprio tramite lui, mi attribuii senza problemi una dispensa da quel divieto e semplicemente non dissi loro a cosa stavo lavorando.

Stanley voleva provare ad avere Janet nel ruolo della madre di Lolita, sottolineando così l'ironia della scelta di Humbert Humbert di andar dietro alla figlia. "Come potrebbe qualcuno stare di fronte a una donna così seducente, desiderabile e con quella favolosa scollatura e non volerci andare a letto?" mi chiese. "E invece preferirle la sua figlia ancora non sviluppata! Giusto uno con qualche problema..." E davvero, a quel tempo, non c'era nessuno nel mondo del cinema di così luminosamente sessuale quanto Janet Leigh. [...] Non ricordo per quale motivo Janet rifiutò il ruolo in Lolita. Per quanto mi riesce di ricordare, fu per via di Tony che sentiva, quel grande impresario che già all'epoca si considerava, che quel ruolo non era il passo appropriato per lei dopo il cammeo memorabile in Psycho. La versione cinematografica di Lolita avrebbe avuto un tono più morbido se ci fosse stata Janet al posto di Shelley Winters e dei suoi vestiti a poco prezzo. Shelley magari era un'attrice migliore, ma nessuno era più desiderabile di Janet.
Bene, come bottino per un articolo scritto su qualcun altro non è per niente male. Grazie Gwen.

Farewell, Tony Curtis, Gwen Davis, Vanity Fair 05.10.2010

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