Dal 12 al 27 febbraio, al Museo del Cinema di Torino, verrà organizzata una retrospettiva dedicata alla cinematografia di Stanley Kubrick, in collaborazione con Warner Bros. Italia, MGM, Sony Pictures Releasing UK, NBC Universal e Hollywood Classics. Saranno proiettati tutti i film di Kubrick, da Il Bacio dell'Assassino a Eyes Wide Shut, in versione originale sottotitolata.
Per maggiori informazioni e per scaricare il programma delle proiezioni giorno per giorno, visitate il sito TorinoCultura.
Sempre a Torino, il Circolo dei Lettori ha in programma un incontro attinente al cinema di Kubrick: il 27 febbraio alle ore 21 Ruggero Pierantoni conduce una conferenza dal titolo "La storia segreta di Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio (da Anthony Burgess a Stanley Kubrick)". Informazioni sul sito dell'associazione.
10 febbraio 2007
Prime uscite in HD-DVD / Blu-ray
Sono disponibili in vendita i primi due film di Stanley Kubrick nei nuovi formati digitali ad alta definizione: Full Metal Jacket è distribuito sia in HD-DVD che Blu-ray dalla Warner Bros. mentre Spartacus è in uscita per la Universal nel solo formato HD-DVD.
L'edizione di Spartacus è presentata con le corrette proporzioni video 2,20:1 (come l'edizione in DVD della Criterion e contrariamente alla precedente edizione DVD Universal) con un audio 5.1 DTS e Dolby. Apparentemente, la qualità video non è all'altezza delle possibilità di definizione del nuovo formato: alcune recensioni online affermano che il film resta migliore nell'edizione Criterion.
Per Full Metal Jacket si parla di un miglioramento rispetto all'edizione in DVD, sia nella versione HD-DVD che Blu-ray, anche se il titolo non viene indicato tra i migliori dischi in circolazione. I miglioramenti sostanziali dovrebbero essere nella naturalezza della profondità di campo.
Per questo film ci sono da fare delle precisazioni sul formato video. Nelle edizioni europee Full Metal Jacket è presentato in formato panoramico 1,85:1, diversamente quindi dalle precedenti edizioni homevideo (sia VHS che DVD erano a schermo pieno, cioè 1,33:1). Il formato che era stato scelto da Kubrick per la vendita del film è soppiantato da quello originale per la proiezione cinematografica, e fin qui ci possiamo anche stare. L'edizione americana invece presenta il film in 1,78:1, un formato totalmente illegittimo, dovuto solo alla volontà di riempire interamente gli schermi dei televisori HD, ossia dettato da esigenze di mercato, in barba all'arte. E di nuovo, l'audio monofonico, l'unico veramente missato da Kubrick, è assente in tutte le edizioni.
E' alquanto disgustoso vedere come i responsabili della Stanley Kubrick Estate (o la Warner o chi per loro) si stiano rimangiando le parole dette all'uscita della DVD Collection, che anche in quel caso non erano apparse proprio limpide. Ma tanto, ne sono convinto, non frega niente a nessuno.
L'edizione di Spartacus è presentata con le corrette proporzioni video 2,20:1 (come l'edizione in DVD della Criterion e contrariamente alla precedente edizione DVD Universal) con un audio 5.1 DTS e Dolby. Apparentemente, la qualità video non è all'altezza delle possibilità di definizione del nuovo formato: alcune recensioni online affermano che il film resta migliore nell'edizione Criterion.
Per Full Metal Jacket si parla di un miglioramento rispetto all'edizione in DVD, sia nella versione HD-DVD che Blu-ray, anche se il titolo non viene indicato tra i migliori dischi in circolazione. I miglioramenti sostanziali dovrebbero essere nella naturalezza della profondità di campo.
Per questo film ci sono da fare delle precisazioni sul formato video. Nelle edizioni europee Full Metal Jacket è presentato in formato panoramico 1,85:1, diversamente quindi dalle precedenti edizioni homevideo (sia VHS che DVD erano a schermo pieno, cioè 1,33:1). Il formato che era stato scelto da Kubrick per la vendita del film è soppiantato da quello originale per la proiezione cinematografica, e fin qui ci possiamo anche stare. L'edizione americana invece presenta il film in 1,78:1, un formato totalmente illegittimo, dovuto solo alla volontà di riempire interamente gli schermi dei televisori HD, ossia dettato da esigenze di mercato, in barba all'arte. E di nuovo, l'audio monofonico, l'unico veramente missato da Kubrick, è assente in tutte le edizioni.
E' alquanto disgustoso vedere come i responsabili della Stanley Kubrick Estate (o la Warner o chi per loro) si stiano rimangiando le parole dette all'uscita della DVD Collection, che anche in quel caso non erano apparse proprio limpide. Ma tanto, ne sono convinto, non frega niente a nessuno.
08 febbraio 2007
Stanley Kubrick's Shining
Monografia dedicata al film horror di Stanley Kubrick, nella collana Falsopiano Light che già aveva ospitato il fondamentale saggio su Eyes Wide Shut. Questo lavoro, al contrario della perspicace analisi di Simone Ciaruffoli, è un ottimo esempio di "sovrainterpretazione" e tradisce fin troppo chiaramente la sua natura da tesi di laurea.
Marco Carosso esegue una puntigliosa analisi di Shining caricando il più minuscolo dettaglio di un valore che difficilmente appare giustificato. L'autore, impegnato per pagine e pagine a descrivere minuziosamente sequenze del film, finisce anche per dimenticare lo scopo che anima la sua ricerca: in più di un'occasione infatti ci si accorge che ciò che è annunciato da Carosso come la tesi da dimostrare viene presto abbandonato in favore di esasperanti elenchi di dettagli, calcoli della durata delle sequenze, numero di fotogrammi, movimenti di macchina ecc.
Più che ad un'analisi delle scelte registiche di Kubrick, l'autore sembra interessato ad utilizzare Shining per illustrare una serie di concetti appresi dai libri di critica cinematografica, limitando l'apporto originale e personale a un paio di intuizioni sulla geometria degli ambienti. La scrittura è poi estremamente faticosa, imbevuta di termini tecnici che lungi dall'aumentare la precisione espositiva contribuiscono solo all'oscurità del testo.
Questa foga sovra-interpretativa condotta a colpi di citazioni da manuali di cinema fa commettere all'autore anche qualche passo falso: descrivendo l'inserto dell'urlo di Danny a inizio film come un'inquadratura fuori contesto e piegando l'estraneità di tale immagine alla sua teoria, Carosso non si accorge che questo inserto è solo una premonizione del futuro del bambino, quando si troverà ad urlare in quel modo nel mobile della cucina alla fine del film. Inoltre, anche lui cade nell'abitudine di indicare l'ombra dell'elicottero visibile nella sequenza iniziale come portatrice di senso, quando ormai è appurato che si tratta di un normale imperfezione di montaggio (l'ombra non è visibile al cinema e l'assistente montatore Gordon Stainforth ha confermato che non era presente nel primo montaggio ed è comparsa a seguito di piccoli spostamenti dei tagli volti a migliorare il ritmo della sequenza).
In conclusione, Carosso tenta affannosamente di rintracciare attraverso una lettura completamente astratta del film, lontana anni luce anche dalla più attenta visione cinematografica, quello che qualunque spettatore capisce da solo, ossia che il film si basa su un meccanismo di spiazzamento e di disattesa delle aspettative, giocando su una messincena rigorosa messa costantemente in crisi dal regista.
Marco Carosso risponde
Gentile Filippo Ulivieri,
dopo aver letto la sua recensione del libro Stanley Kubrick's Shining, le scrivo una breve nota relativa ai presunti "passi falsi" imputati all'autore.
- riguardo alla "svista" inerente il valore premonitorio dell'inserto dell'urlo di Danny a inizio film, le segnalo che alla questione viene dedicata una specifica nota (nota 14 a p. 171 - il testo della nota è a p. 188). Aggiungo inoltre che questo valore premonitorio non può che venire inteso come tale dallo spettatore solo verso la conclusione della storia, caricando il piano di un valore deliberatamente ambiguo per la quasi totale durata del film.
- riguardo alla comparsa dell'ombra dell'elicottero (nota 16 a p. 83, il testo della nota è a p. 116) nella sequenza di apertura del film: su http://www.visual-memory.co.uk/faq/index.html (ove le dichiarazioni di Stainforth vengono riportate per esteso), la questione viene dibattuta in modo "aperto" e - necessariamente - ironico; sia per quanto riguarda la più o meno ricorrente visibilità dell'ombra in sala ("Mark Ervin noticed the shadow on The Shining's third showing at Mann's Chinese Theater May 23, 1980 and he has never failed to see it since"), che per le interpretazioni a cui può essere sottoposta. Lo stesso Stainforth dichiara in chiusura alle sue dichiarazioni: "IF the helicopter shadow was fleetingly visible, either Stanley did not notice it, or it was so trivial that it did not bother him" e, successivamente, "Incidentally (or not so incidentally!), Stanley was NOT at all bothered by the vague shadow of the rotors at the top of the frame." Alle sue (di Stainforth) dichiarazioni seguono, inoltre, alcune riflessioni (sempre attinenti la questione dell'ombra) degli autori della risposta alla FAQ, afferenti i potenziali rapporti tra le teorie Brechtiane ("alienation effect") e la messinscena kubrickiana (vengono citati come esempio Lolita e Full Metal Jacket) che - mantenendo un doveroso margine di incertezza nei confronti della questione - concludono in questi termini: "So it seems fair to say that a Brechtian sensibility is detectable in Kubrick's filmmaking, and furthermore not outrageous to suggest that, if he had seen the shadow, he might have left the it in. This is not to say he DELIBERATELY CONTRIVED the helicopter shadow to be there: just that he wasn't concerned enough about concealing the artifice in his art to reject such an amazing shot. I think the bottom line of this whole debate is that it says more about Kubrick fans than Kubrick himself. The myth about his absolute perfectionism is pervasive, but like every myth about Kubrick, it can't ever be the whole truth."
Ora, indipendentemente dagli accadimenti che hanno preceduto il montaggio definitivo stabilito da Kubrick (che sono convinto non avesse prestabilito la comparsa dell'ombra, tanto quanto credo che difficilmente possa averla ignorata, nel momento in cui incidentalmente si è presentata), per quanto riguarda il testo della mia nota, ho rilevato due qualità intrinseche alla presenza dell'ombra stessa (l'implicito rimando a un'entità narrante e la sua natura extradiegetica) sottolineando una coincidenza significativa, ovvero che la sua comparsa convergesse con l'avvento - nella stessa inquadratura - di un seconda entità extradiegetica: i titoli di testa (con tutta la complessità semantica di cui essi, a mio parere, sono portatori). Tutto questo in un brano del libro dedicato ai titoli di testa e non certo incentrato sull'inflazionata questione dell'elicottero.
Come credo emerga chiaramente, desidero limitarmi ai fatti, senza permettermi alcun commento o considerazione in merito alle questioni da lei indotte in relazione ai "passi falsi" a me imputati o alla natura "astratta" da lei attribuita alla mia lettura (la mia intenzione non è certo quella di far cambiare parere al recensore riguardo al libro). Ci tengo a sottolineare - se non dovesse risultare evidente - che non sono mosso da alcuna velleità polemica, ma da un semplice principio di esatta o corretta informazione. Non mi permetterei di contestare qualsiasi libera critica negativa dovesse venire al mio saggio, che ritengo debba, in questi casi, difendersi da sé.
Approfitto inoltre dell'occasione per confermare il mio apprezzamento verso ArchivioKubrick per il suo evidente potenziale - soprattutto nell'ambito della ricerca su Kubrick.
Un cordiale saluto,
Marco Carosso
Marco Carosso esegue una puntigliosa analisi di Shining caricando il più minuscolo dettaglio di un valore che difficilmente appare giustificato. L'autore, impegnato per pagine e pagine a descrivere minuziosamente sequenze del film, finisce anche per dimenticare lo scopo che anima la sua ricerca: in più di un'occasione infatti ci si accorge che ciò che è annunciato da Carosso come la tesi da dimostrare viene presto abbandonato in favore di esasperanti elenchi di dettagli, calcoli della durata delle sequenze, numero di fotogrammi, movimenti di macchina ecc.
Più che ad un'analisi delle scelte registiche di Kubrick, l'autore sembra interessato ad utilizzare Shining per illustrare una serie di concetti appresi dai libri di critica cinematografica, limitando l'apporto originale e personale a un paio di intuizioni sulla geometria degli ambienti. La scrittura è poi estremamente faticosa, imbevuta di termini tecnici che lungi dall'aumentare la precisione espositiva contribuiscono solo all'oscurità del testo.
Questa foga sovra-interpretativa condotta a colpi di citazioni da manuali di cinema fa commettere all'autore anche qualche passo falso: descrivendo l'inserto dell'urlo di Danny a inizio film come un'inquadratura fuori contesto e piegando l'estraneità di tale immagine alla sua teoria, Carosso non si accorge che questo inserto è solo una premonizione del futuro del bambino, quando si troverà ad urlare in quel modo nel mobile della cucina alla fine del film. Inoltre, anche lui cade nell'abitudine di indicare l'ombra dell'elicottero visibile nella sequenza iniziale come portatrice di senso, quando ormai è appurato che si tratta di un normale imperfezione di montaggio (l'ombra non è visibile al cinema e l'assistente montatore Gordon Stainforth ha confermato che non era presente nel primo montaggio ed è comparsa a seguito di piccoli spostamenti dei tagli volti a migliorare il ritmo della sequenza).
In conclusione, Carosso tenta affannosamente di rintracciare attraverso una lettura completamente astratta del film, lontana anni luce anche dalla più attenta visione cinematografica, quello che qualunque spettatore capisce da solo, ossia che il film si basa su un meccanismo di spiazzamento e di disattesa delle aspettative, giocando su una messincena rigorosa messa costantemente in crisi dal regista.
Gentile Filippo Ulivieri,
dopo aver letto la sua recensione del libro Stanley Kubrick's Shining, le scrivo una breve nota relativa ai presunti "passi falsi" imputati all'autore.
- riguardo alla "svista" inerente il valore premonitorio dell'inserto dell'urlo di Danny a inizio film, le segnalo che alla questione viene dedicata una specifica nota (nota 14 a p. 171 - il testo della nota è a p. 188). Aggiungo inoltre che questo valore premonitorio non può che venire inteso come tale dallo spettatore solo verso la conclusione della storia, caricando il piano di un valore deliberatamente ambiguo per la quasi totale durata del film.
- riguardo alla comparsa dell'ombra dell'elicottero (nota 16 a p. 83, il testo della nota è a p. 116) nella sequenza di apertura del film: su http://www.visual-memory.co.uk/faq/index.html (ove le dichiarazioni di Stainforth vengono riportate per esteso), la questione viene dibattuta in modo "aperto" e - necessariamente - ironico; sia per quanto riguarda la più o meno ricorrente visibilità dell'ombra in sala ("Mark Ervin noticed the shadow on The Shining's third showing at Mann's Chinese Theater May 23, 1980 and he has never failed to see it since"), che per le interpretazioni a cui può essere sottoposta. Lo stesso Stainforth dichiara in chiusura alle sue dichiarazioni: "IF the helicopter shadow was fleetingly visible, either Stanley did not notice it, or it was so trivial that it did not bother him" e, successivamente, "Incidentally (or not so incidentally!), Stanley was NOT at all bothered by the vague shadow of the rotors at the top of the frame." Alle sue (di Stainforth) dichiarazioni seguono, inoltre, alcune riflessioni (sempre attinenti la questione dell'ombra) degli autori della risposta alla FAQ, afferenti i potenziali rapporti tra le teorie Brechtiane ("alienation effect") e la messinscena kubrickiana (vengono citati come esempio Lolita e Full Metal Jacket) che - mantenendo un doveroso margine di incertezza nei confronti della questione - concludono in questi termini: "So it seems fair to say that a Brechtian sensibility is detectable in Kubrick's filmmaking, and furthermore not outrageous to suggest that, if he had seen the shadow, he might have left the it in. This is not to say he DELIBERATELY CONTRIVED the helicopter shadow to be there: just that he wasn't concerned enough about concealing the artifice in his art to reject such an amazing shot. I think the bottom line of this whole debate is that it says more about Kubrick fans than Kubrick himself. The myth about his absolute perfectionism is pervasive, but like every myth about Kubrick, it can't ever be the whole truth."
Ora, indipendentemente dagli accadimenti che hanno preceduto il montaggio definitivo stabilito da Kubrick (che sono convinto non avesse prestabilito la comparsa dell'ombra, tanto quanto credo che difficilmente possa averla ignorata, nel momento in cui incidentalmente si è presentata), per quanto riguarda il testo della mia nota, ho rilevato due qualità intrinseche alla presenza dell'ombra stessa (l'implicito rimando a un'entità narrante e la sua natura extradiegetica) sottolineando una coincidenza significativa, ovvero che la sua comparsa convergesse con l'avvento - nella stessa inquadratura - di un seconda entità extradiegetica: i titoli di testa (con tutta la complessità semantica di cui essi, a mio parere, sono portatori). Tutto questo in un brano del libro dedicato ai titoli di testa e non certo incentrato sull'inflazionata questione dell'elicottero.
Come credo emerga chiaramente, desidero limitarmi ai fatti, senza permettermi alcun commento o considerazione in merito alle questioni da lei indotte in relazione ai "passi falsi" a me imputati o alla natura "astratta" da lei attribuita alla mia lettura (la mia intenzione non è certo quella di far cambiare parere al recensore riguardo al libro). Ci tengo a sottolineare - se non dovesse risultare evidente - che non sono mosso da alcuna velleità polemica, ma da un semplice principio di esatta o corretta informazione. Non mi permetterei di contestare qualsiasi libera critica negativa dovesse venire al mio saggio, che ritengo debba, in questi casi, difendersi da sé.
Approfitto inoltre dell'occasione per confermare il mio apprezzamento verso ArchivioKubrick per il suo evidente potenziale - soprattutto nell'ambito della ricerca su Kubrick.
Un cordiale saluto,
Marco Carosso
06 febbraio 2007
Stanley Kubrick: l'umano né più né meno
Il critico francese completa il suo percorso di analisi dei film di Kubrick con questo volume, pubblicato nel 2005 in Francia e da poco tradotto in Italia dalla Lindau.
Il titolo suggerisce l'impostazione critica del saggio: Chion ripercorre tutti i film del regista per rintracciare l'interesse di Kubrick a tratteggiare "l'essere umano né più né meno", nella sua interezza, coi suoi limiti e i suoi pregi, le sue debolezze e i suoi fallimenti. Un'impostazione senza dubbio corretta, che mette in luce l'approccio molto teorico e cerebrale del cinema di Kubrick, e che risulta anche sufficientemente diversa da altre monografie kubrickiane.
Chion dimostra una innegabile conoscenza del cinema di Stanley Kubrick e del cinema tout court, cosa che gli permette di analizzare ogni film ponendolo nel giusto contesto cinematografico mondiale e del corpus d'opere di Kubrick, in modo da mostrarne le peculiarità, l'importanza e il carattere distintivo. Ugualmente, si ritrovano in ogni capitolo connessioni del film in esame con altre opere di Kubrick, per illustrare temi comuni e ossessioni del regista, il tutto senza eccessive forzature da critico intellettuale (tranne nell'ultima parte del capitolo su Eyes Wide Shut in cui, a mio avviso, Chion si lascia prendere un po' la mano con la teoria del figlio maschio preannunciato fin da 2001).
Nonostante queste buone premesse, il libro soffre di due difetti. Il primo è di ordine metodologico: il saggio è purtroppo solo un enorme discorso puramente interpretativo. Chion racconta i film, spiega i temi sollevati dal regista, illustra "la filosofia" - per così dire - di Kubrick, senza mostrare come tali idee vengano veicolate filmicamente, se non in rari casi. La maggior parte dei film viene analizzata senza alcun riferimento alla messinscena, alle scelte di montaggio, di inquadratura, alla recitazione richiesta agli attori, insomma senza attenzione alla forma cinematografica. L'effetto negativo è duplice: come regola generale, omettendo riferimenti concreti a ciò che il film è e a come è si rischia di arrivare a dire qualunque cosa, cioè in sostanza ad applicare all'opera le proprie idee senza "ascoltarla" veramente, o peggio di sovrainterpretare; in secondo luogo, questa mancanza è particolarmente pesante per un regista come Kubrick, che ha sempre dimostrato un costante entusiasmo per la forma, per i modi specificamente cinematografici di raccontare storie.
Fa eccezione il solo capitolo su Eyes Wide Shut, il migliore del libro, che si preoccupa di illustrare in dettaglio le scelte di decoupage realizzate dal regista: pagine puntuali, precise e ricche di riflessioni che ne stimolano altre da parte del lettore. Ma è anche vero che questo capitolo è solo un aggiornamento della monografia pubblicata dal British Film Institute nel 2002.
Il secondo difetto è, per così dire, formale: arrivati alla fine del testo ci si accorge che l'autore ha trascurato il tema dell'umano da cui l'analisi era partita. Dopo aver illustrato l'interesse da umanista di Kubrick presente già in Fear & Desire e averlo rintracciato anche nelle opere seguenti, una volta che la filmografia kubrickiana diventa più matura, da Lolita in poi, Chion perde di vista la tesi del suo libro e si limita a parlare sopra i vari film. Non basta un paragrafetto finale per riprendere questo filo (che voleva essere) rosso, ormai perduto da centinaia di pagine.
Non gioca a favore dell'uniformità neanche aver integrato nell'opera il precedente suo saggio su 2001: la parte dedicata a questo film è infatti la riproposizione integrale del volume Un'Odissea del Cinema, pubblicato nel 2000 sempre dalla Lindau. Questo capitolo eredita dunque una struttura differente, perdendosi per di più in racconti sui fatti di produzione e sul contesto socio-culturale degli anni '60, temi superflui all'interno di questo libro. Privo anche delle piacevoli connessioni con le altre opere che punteggiavano gli altri capitoli, questa parte non si integra con il resto e stona notevolmente nell'insieme.
Il libro avrebbe guadagnato molto con un serio lavoro di editing: anche il capitolo su Eyes Wide Shut appare, pur aggiornato rispetto alla monografia del 2002, privo di coesione perché contiene un lungo paragrafo sul mestiere del critico, monito che risulta decisamente fuori luogo dopo oltre 500 pagine. Si ha l'impressione che Chion si sia limitato a prendere due suoi libri e ad aggiungerci altri capitoli, col pretesto di una cornice unitaria.
Non aiuta neppure un certo tono paternalistico dell'autore che finisce per infastidire il lettore, in particolare quando cerca di spiegare pedantemente come si dovrebbe guardare un film o, molto peggio, quando finge di dialogare con Kubrick dando suggerimenti di montaggio per Shining, un film per cui l'autore non nasconde la sua scarsa considerazione, al pari di Arancia Meccanica.
[Per soddisfare la curiosità: il difetto imputato a Shining è una certa sovrabbondanza di elementi e l'aver fallito come opera horror capace di spaventare, mentre l'accusa per Arancia Meccanica è quella di essere un film ormai ampiamente datato nel decor, nell'uso pop del colore e nei giochetti tipicamente anni '70 quali il ralenti, l'accelerazione, ecc. Critiche legittime s'intende: personalmente la penso diversamente ma è utile leggere anche opinioni opposte.]
Il merito più grande di Chion è aver posto l'accento sul carattere "de-fusionale" dei film di Kubrick, ossia sulle scelte di messinscena che tradiscono la somma delle parti di cui è composto il film: le musiche, la recitazione, le inquadrature, il sonoro e ogni altro elemento della grammatica cinematografica viene aggiunto da Kubrick per accumulo, senza una fusione completa e perfetta. Lo spettatore è sempre cosciente del meccanismo registico grazie a questa sorta di scarti tra i vari ingredienti, che ne valorizzano l'importanza e aiutano la visione critica. Per questa idea però sarebbe stato sufficiente un saggio breve e la pesantezza (anche fisica) del volume non ha una effettiva controparte di soddisfazione per il lettore.
A margine della recensione, non riesco a trattenermi dal far notare la veste grafica imbarazzante: d'altra parte un libro è anche un oggetto e come tale subisce l'applicazione dei criteri di piacevolezza estetica. La Lindau ha prodotto un volume inutilmente pesante, tozzo, con una copertina graficamente sciatta. L'impaginazione uniforme e piatta non aiuta la comprensione del testo rendendo i paragrafi confusi: leggere 600 pagine tutte uguali non è una passeggiata. Inoltre i fotogrammi stampati alla fine di ogni capitolo sono, causa collocazione, pressoché inutili perchè mai richiamati dal testo e lontani da esso: meglio sarebbe stato disseminarli tra le varie pagine (come era ad esempio nella monografia su EWS del BFI). Come non bastasse, le riproduzioni sono di pessima qualità (colore troppo saturo, "squadrettature" digitali), in formato non sempre corretto e in alcuni casi con incongrui sottotitoli francesi.
Il titolo suggerisce l'impostazione critica del saggio: Chion ripercorre tutti i film del regista per rintracciare l'interesse di Kubrick a tratteggiare "l'essere umano né più né meno", nella sua interezza, coi suoi limiti e i suoi pregi, le sue debolezze e i suoi fallimenti. Un'impostazione senza dubbio corretta, che mette in luce l'approccio molto teorico e cerebrale del cinema di Kubrick, e che risulta anche sufficientemente diversa da altre monografie kubrickiane.
Chion dimostra una innegabile conoscenza del cinema di Stanley Kubrick e del cinema tout court, cosa che gli permette di analizzare ogni film ponendolo nel giusto contesto cinematografico mondiale e del corpus d'opere di Kubrick, in modo da mostrarne le peculiarità, l'importanza e il carattere distintivo. Ugualmente, si ritrovano in ogni capitolo connessioni del film in esame con altre opere di Kubrick, per illustrare temi comuni e ossessioni del regista, il tutto senza eccessive forzature da critico intellettuale (tranne nell'ultima parte del capitolo su Eyes Wide Shut in cui, a mio avviso, Chion si lascia prendere un po' la mano con la teoria del figlio maschio preannunciato fin da 2001).
Nonostante queste buone premesse, il libro soffre di due difetti. Il primo è di ordine metodologico: il saggio è purtroppo solo un enorme discorso puramente interpretativo. Chion racconta i film, spiega i temi sollevati dal regista, illustra "la filosofia" - per così dire - di Kubrick, senza mostrare come tali idee vengano veicolate filmicamente, se non in rari casi. La maggior parte dei film viene analizzata senza alcun riferimento alla messinscena, alle scelte di montaggio, di inquadratura, alla recitazione richiesta agli attori, insomma senza attenzione alla forma cinematografica. L'effetto negativo è duplice: come regola generale, omettendo riferimenti concreti a ciò che il film è e a come è si rischia di arrivare a dire qualunque cosa, cioè in sostanza ad applicare all'opera le proprie idee senza "ascoltarla" veramente, o peggio di sovrainterpretare; in secondo luogo, questa mancanza è particolarmente pesante per un regista come Kubrick, che ha sempre dimostrato un costante entusiasmo per la forma, per i modi specificamente cinematografici di raccontare storie.
Fa eccezione il solo capitolo su Eyes Wide Shut, il migliore del libro, che si preoccupa di illustrare in dettaglio le scelte di decoupage realizzate dal regista: pagine puntuali, precise e ricche di riflessioni che ne stimolano altre da parte del lettore. Ma è anche vero che questo capitolo è solo un aggiornamento della monografia pubblicata dal British Film Institute nel 2002.
Il secondo difetto è, per così dire, formale: arrivati alla fine del testo ci si accorge che l'autore ha trascurato il tema dell'umano da cui l'analisi era partita. Dopo aver illustrato l'interesse da umanista di Kubrick presente già in Fear & Desire e averlo rintracciato anche nelle opere seguenti, una volta che la filmografia kubrickiana diventa più matura, da Lolita in poi, Chion perde di vista la tesi del suo libro e si limita a parlare sopra i vari film. Non basta un paragrafetto finale per riprendere questo filo (che voleva essere) rosso, ormai perduto da centinaia di pagine.
Non gioca a favore dell'uniformità neanche aver integrato nell'opera il precedente suo saggio su 2001: la parte dedicata a questo film è infatti la riproposizione integrale del volume Un'Odissea del Cinema, pubblicato nel 2000 sempre dalla Lindau. Questo capitolo eredita dunque una struttura differente, perdendosi per di più in racconti sui fatti di produzione e sul contesto socio-culturale degli anni '60, temi superflui all'interno di questo libro. Privo anche delle piacevoli connessioni con le altre opere che punteggiavano gli altri capitoli, questa parte non si integra con il resto e stona notevolmente nell'insieme.
Il libro avrebbe guadagnato molto con un serio lavoro di editing: anche il capitolo su Eyes Wide Shut appare, pur aggiornato rispetto alla monografia del 2002, privo di coesione perché contiene un lungo paragrafo sul mestiere del critico, monito che risulta decisamente fuori luogo dopo oltre 500 pagine. Si ha l'impressione che Chion si sia limitato a prendere due suoi libri e ad aggiungerci altri capitoli, col pretesto di una cornice unitaria.
Non aiuta neppure un certo tono paternalistico dell'autore che finisce per infastidire il lettore, in particolare quando cerca di spiegare pedantemente come si dovrebbe guardare un film o, molto peggio, quando finge di dialogare con Kubrick dando suggerimenti di montaggio per Shining, un film per cui l'autore non nasconde la sua scarsa considerazione, al pari di Arancia Meccanica.
[Per soddisfare la curiosità: il difetto imputato a Shining è una certa sovrabbondanza di elementi e l'aver fallito come opera horror capace di spaventare, mentre l'accusa per Arancia Meccanica è quella di essere un film ormai ampiamente datato nel decor, nell'uso pop del colore e nei giochetti tipicamente anni '70 quali il ralenti, l'accelerazione, ecc. Critiche legittime s'intende: personalmente la penso diversamente ma è utile leggere anche opinioni opposte.]
Il merito più grande di Chion è aver posto l'accento sul carattere "de-fusionale" dei film di Kubrick, ossia sulle scelte di messinscena che tradiscono la somma delle parti di cui è composto il film: le musiche, la recitazione, le inquadrature, il sonoro e ogni altro elemento della grammatica cinematografica viene aggiunto da Kubrick per accumulo, senza una fusione completa e perfetta. Lo spettatore è sempre cosciente del meccanismo registico grazie a questa sorta di scarti tra i vari ingredienti, che ne valorizzano l'importanza e aiutano la visione critica. Per questa idea però sarebbe stato sufficiente un saggio breve e la pesantezza (anche fisica) del volume non ha una effettiva controparte di soddisfazione per il lettore.
A margine della recensione, non riesco a trattenermi dal far notare la veste grafica imbarazzante: d'altra parte un libro è anche un oggetto e come tale subisce l'applicazione dei criteri di piacevolezza estetica. La Lindau ha prodotto un volume inutilmente pesante, tozzo, con una copertina graficamente sciatta. L'impaginazione uniforme e piatta non aiuta la comprensione del testo rendendo i paragrafi confusi: leggere 600 pagine tutte uguali non è una passeggiata. Inoltre i fotogrammi stampati alla fine di ogni capitolo sono, causa collocazione, pressoché inutili perchè mai richiamati dal testo e lontani da esso: meglio sarebbe stato disseminarli tra le varie pagine (come era ad esempio nella monografia su EWS del BFI). Come non bastasse, le riproduzioni sono di pessima qualità (colore troppo saturo, "squadrettature" digitali), in formato non sempre corretto e in alcuni casi con incongrui sottotitoli francesi.
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