Blog

30 gennaio 2006

The Wolf at the Door

Ho finito di leggere il libro The Wolf at the Door: Stanley Kubrick, History and the Holocaust scritto da Geoffrey Cocks nel 2004. E' un saggio molto approfondito che cerca di dimostrare come l'Olocausto sia stato uno dei temi che più hanno interessato Kubrick, tanto che riferimenti più o meno diretti sarebbero presenti in tutti i suoi film. In particolare, l'autore indica come sia possibile rintracciare in Shining un sottotesto interamente dedicato alla più grande tragedia del '900, così da rendere il film una metafora dell'Olocausto.

Indubbiamente interessante... in teoria. Perché alla fine delle sue densissime 400 pagine Cocks non mi ha convinto. Lo storico ha fatto un ottimo lavoro di ricerca, che attraversa l'intero secolo scorso e praticamente ogni espressione artistica (film, romanzi, cartoni animati, documentari, ecc.), rintracciando informazioni su come la dittatura in Germania e l'Olocausto abbiano influenzato moltissimi autori. Cocks ha raccolto anche testimonianze dai familiari di Kubrick (Christiane e Jan Harlan) e dai suoi collaboratori (Diane Johnson in particolare), utilizzate per punteggiare il testo critico.

Però secondo me commette due o tre errori. Il primo è di forma: il libro è troppo lungo e organizzato male. Mi è spesso venuta voglia di saltare qualche pagina che presentava digressioni infinite su autori che niente avevano a che fare con Kubrick e che stanno nel libro solo per qualche indiretto legame con il periodo storico dell'ascesa e caduta di Hitler. La cosa peggiore comunque è che per 360 pagine l'autore rimanda la sua tesi principale accumulando dati fattuali che alla lunga stancano. Non si può, semplicemente, scrivere per tutto il libro "come vedremo più avanti" e "come ci sarà chiaro quando parleremo di Shining". Anche perché di Shining ne parla nell'ultimo capitolo.

Arrivati a questo capitolo con aspettative altissime, cresciute in 360 pagine, uno si immagina di trovare chissà che, di essere scioccato dalla chiarezza e rilevanza del sottotesto nazista nel film, di essere trascinato in un tripudio di "ah ecco!" e "ma dai!" dall'autore che sapiente ti indica indizi e chiavi di lettura. Invece nulla, tutto si sgonfia. Improvvisamente Cocks guarda indietro e prende come prove della sua tesi quei fatti disseminati nelle pagine precedenti. Ma come, prima mi dici "come vedremo" e poi "come abbiamo visto"? Sì, ma dove l'abbiamo visto, scusa?

Altro errore: affidarsi a minuzie per sostenere una tesi enorme. Quando si parla degli altri film, Cocks si aggrappa a coincidenze nella vita di Kubrick e romanzi o film che potrebbe aver letto e visto. Quando si arriva a Shining, gli indizi presi a supporto del sottotesto nazista sono coincidenze di numeri, colori e nomi tedeschi. I continui riferimenti al numero 42 che si trovano nel film richiamano l'anno in cui è iniziata la sistematica eliminazione degli ebrei. Siccome poi 42 è multiplo di 7, si porta dietro tutte le connotazioni magiche e maligne che la numerologia ci insegna. Il colore giallo che spesso è presente nelle scene richiama il colore della stella di David applicata ai vestiti degli ebrei e in più porta associazioni con le malattie, perpetrando lo stereotipo degli ebrei come impuri. La macchina da scrivere di Jack è una Adler, le automobili sono delle Wolksvagen, ecc. Lo so che a semplificare 400 pagine in due righe si fa presto a banalizzare, però questa è la mia impressione.

Infine mi è sembrato anche forzato il voler rintracciare a tutti i costi riferimenti alla Germania e all'Olocausto in tutti, ma proprio tutti, i film diretti da Kubrick, inclusi i primi cortometraggi e i film girati da adolescente. Non commento poi il voler trovare tali riferimenti nei film NON diretti da Kubrick ma solo ipotizzati (Segreto Ardente, The German Lieutenant e tutti gli altri).

Indubbiamente Kubrick era interessato all'Olocausto. Michael Herr, nel suo affettuoso libro memoriale, ricorda come Kubrick insistesse continuamente per fargli leggere una copia del massiccio volume The Extermination of the European Jews che gli aveva regalato. Anche in alcune interviste, specialmente quelle dopo l'uscita di Arancia Meccanica Kubrick ha menzionato l'argomento. E il progetto Aryan Papers testimonia ulteriormente questo interesse. Tuttavia Cocks, semplicemente, esagera.

Per dirlo meglio, trovo che Cocks sbagli approccio. Quando si analizza criticamente un'opera d'arte si dovrebbe procedere dall'opera alla teoria e non viceversa. Il critico, realizzando che alcuni elementi del testo potrebbero portare significato, vuoi perché sono in grande numero, vuoi perché sono difformi dal resto dell'opera, vuoi perché messi insieme risuonano in modo da attrarre l'attenzione, ha il compito di spiegare queste evidenze con una qualche teoria. Con questa prospettiva ad esempio è possibile leggere l'Overlook Hotel di Shining come metafora degli Stati Uniti, una nazione sorta dalla ceneri delle popolazioni indiane: il direttore dell'albergo è vestito coi colori della bandiera americana, nei dialoghi si fa esplicito riferimento ai resti di un cimitero indiano sotto l'hotel, Wendy è vestita in una scena con motivi Sioux, le lattine della dispensa, di marca Calumet, hanno disegnato sull'etichetta un profilo di pellerossa, ecc.

Al contrario, sembra che Cocks abbia pensato la tesi dell'onnipresenza tedesca nei film di Kubrick e si sia messo alla ricerca di prove che possano sostenere questa sua intuizione. Con una tale disposizione è facile rintracciare elementi che provino l'idea critica, anche perché si ha a che fare con opere estremamente complesse e stratificate. Se poi le armi del critico sono la numerologia e il simbolismo dei colori, qualunque opera può voler dire qualunque cosa.

Nessun commento:

© 2001-2011 ArchivioKubrick